Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Come ogni estate, ci risiamo. In estate si diffondono notizie disastrose sui conti pubblici, con disavanzi che debbono essere coperti, urgentemente o quasi.
Gli economisti ci hanno detto che, per rispettare le regole europee sul 3%, occorrono almeno 25 miliardi di euro.
PENSIONI E POLETTI
Poletti ha proposto (idea geniale ed innovativa!) di tassare le pensioni d’oro-d’argento-di bronzo, per “coprire gli esodati”. Ricordate? Monti lo faceva per “i conti pubblici”, Giovannini per “i giovani”, ora Poletti lo propone per “gli esodati della Fornero”.
Quando c’è da fare cassa, si colpiscono i soliti noti: i pensionati pubblici, colpevoli di non aver mai potuto sfuggire al fisco ed al pagamento dei contributi pensionistici. Quei contributi che loro (i dipendenti pubblici) hanno sempre versato regolarmente, mentre spesso lui, lo Stato, non ha fatto la sua parte, perché -spesso- la quota di contributi dovuta dallo Stato e dal Parastato per quelli stessi dipendenti pubblici non è stata effettivamente versata, con ovvio danno dei bilanci pensionistici.
PENSIONI DA RICALCOLARE….E DA TOSARE
Un coro di “no” (con poche voci a favore, inclusa quella di Giuliano Ferrara) ha accolto la proposta Poletti e quella (Brambilla) di tassare anche la differenza tra la quota pensionistica retributiva e contributiva. Molte le motivazioni dei “no”: tecniche e di principio. T
ecniche, legate all’impossibilità di ricalcolare i contributi versati pre 1980 ed alle carenze informatiche dell’INPDAP (prima) e dell’INPS (ora).
Di principio, legate non solo alle precedenti sentenze della Consulta, ma anche al fatto che – in un Paese democratico – l’applicazione delle tasse deve essere proporzionale al reddito e che non debbono essere messe in atto misure surrettizie di ridistribuzione del reddito, per sanare sbilanci economici pubblici frutto di scelte (riforme, controriforme pensionistiche) errate.
Nella logica degli ultimi 4 governi (da Berlusconi a Renzi), i dipendenti pubblici, in attività od in pensione, sono la causa di tutti i mali del Paese. Ed allora, vanno puniti. Tassandoli e tosandoli come pecore (loro..) e facendoli diventare simbolo negativo delle iniquità sociali. C’è un problema? Esodati, disoccupati, deficit e debito pubblico in crescita? Unica soluzione: il blocco dei contratti pubblici, per almeno 10 anni (non per 7, come vorrebbero farci credere) e l’accetta sulle pensioni: d’oro-d’argento-di latta. Come? Prima bloccandone la rivalutazione (con perdita secca di 27.000 euro in 15 anni), poi con la “tassa di scopo”, alla Robin-Hood, per i soggetti over 90.000 euro lordi/anno.
I conti sono presto fatti. Un contratto triennale di lavoro della P.A.(CCNL) vale dai 3,5 ai 4 miliardi. Con il blocco 2010-2015 dei CCNL, alla fine del 2015 lo Stato avrà rapinato ai suoi dipendenti attivi dai 7 agli 8 miliardi di euro. I tagli di Letta sulle pensioni d’oro hanno consentito a Renzi e C. di ottenere un tesoretto aggiuntivo di circa 700 milioni/anno, per 2 anni. Salvo proroghe, se non ci metterà un’altra pezza la Consulta.
La verità, negata da Renzi, è che, oggi, i dipendenti pubblici della P.A. costano meno di quelli di Danimarca, Svezia, Finlandia, Francia, UK: ossia l’11,1% del PIL, contro la media europea del 12,4% (Eurispes,2013).
Perché? Per effetto dei blocchi economico-contrattuali.
E’ vero invece che l’Italia ha più dipendenti pubblici della Germania (58/1000 abitanti contro 54/1000 abitanti), ma non è colpa di chi scrive se – ad esempio- nella recente riforma Madia si stabilizzano 22.500 contrattisti siciliani o si favorisce l’esplosione del numero dei soggetti assunti “intuitu personae” (cresciuto, con la Madia, dal 10 al 30% del personale dirigenziale). Ed allora, perché non si è attivata una spending review verticale, finalizzata ad ottimizzare funzioni ed organici nelle diverse aree della P.A.? A chi giova il caos attuale, aggravato dalla Legge Madia e dal Testo integrato della stessa, che tutto possono essere definiti, tranne “chiari”?
MA RENZI TINTUGNA (indugia e si estranea).
Renzi ha ripetutamente smentito Poletti:” Non toccheremo le pensioni”.
E’ una smentita inquietante, perché– da circa 2 mesi- Renzi e C. non ci spiegano come copriranno il buco di 20 miliardi. Con i tagli di Cottarelli, no di certo. Il progetto Cottarelli è pronto, ma Renzi non lo vuole attuare, ed ha messo in castigo il suddetto esperto. In attesa di tempi migliori o di trucchi contabili.
RENZI E DEF
Renzi non rivela nulla sui conti e sulle cifre in gioco. Anzi, ha rimandato la stesura del Def e della Legge di Stabilità al 1° Ottobre, quando l’Istat avrà comunicato (22/09/14) il nuovo calcolo del Pil, che includerà anche le “presunte cifre delle attività illegali”. Si tratterebbe di 1,5-2,0 miliardi che consentirebbero a Renzi di rispettare, in modo artificiale, il rapporto deficit/Pil al 3%.
Insomma, un trucco contabile, con effetto transitorio. Trucco, perché non ci risulta che prostitute e malviventi paghino le tasse o utilizzino i denari dei proventi sul suolo italico. Transitorio, perché la cifra suddetta non potra’ essere aumentata, anno dopo anno, se non con altri trucchi contabili.
RENZI, L’EUROPA E L’ORIENTE
Ci chiediamo cosa abbia fatto Renzi, nei primi 2 mesi di presidenza europea. Un rapido tour dalle parti dell’Irak, la guerricciola sulla Mogherini, l’invio (annunciato) di armi alla resistenza curda. Armi russe, vecchie (1990), sequestrate durante il conflitto nei balcani. Certo, un grande aiuto, a chi si oppone alle stragi islamiche.
UN PAIO DI DOMANDE
Chiediamo a Renzi perché continui a perseverare il “benaltrismo”, ossia l’atteggiamento per cui i più gravi problemi non sono quelli economici ma “altri”: le regole costituzionali ed elettorali, la giustizia civile, la Mogherini.
Ribadiamo a Renzi che una sola cosa ha il dovere di varare, subito: “Una riforma del fisco basata sul contrasto di interessi e sulla riduzione delle tasse”.
Solo così si risolveranno il problema del Pil (vero), delle tasse (eque e non inique come ora) e delle pensioni.
Ribadiamo a Renzi che, in secondo luogo, per far chiarezza sui conti pensionistici occorre dividere, per legge, i costi dell’assistenza (pensioni assistenziali) da quelli della previdenza vera (pensioni legate a contributi versati). Una volta per tutte, ogni forma di assistenza va messa a carico dei conti pubblici (fiscalità generale) e non a carico dell’Inps. Solo così si potranno avere certezza dei numeri e chiarezza nelle scelte governative.
Stefano Biasioli
Segretario Generale CONFEDIR, Consigliere CNEL