Skip to main content

Caro ministro Poletti, mi permetta un paio di consigli su pensioni e lavoro

Compagno Poletti, comprendiamo le sue difficoltà sulle pensioni. All’interno della maggioranza fanno a gara per smontare la riforma Fornero: è forse l’unico argomento su cui vanno d’accordo, con differenze marginali, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi.

LE CONTRADDIZIONI DI POLETTI

Lei si preoccupa di trovare una soluzione per quelle persone – e saranno tante – che tra qualche tempo si trasformeranno da cassintegrati in esuberi. In più ‘’i maggiori suoi’’ le chiedono di scuotere l’albero delle pensioni (sui cui rami trova riparo il 16% del Pil) per reperire un po’ di risorse in grado di mandare avanti la baracca. Come può il titolare di un dicastero complesso come il suo realizzare l’impossibile quadratura del cerchio tra tutte queste esigenze tra loro contraddittorie?

LE VECCHIE STRADE

Lei, ministro Poletti, sta pensando di seguire la linea di condotta di sempre: piegare il sistema pensionistico alle esigenze del mercato del lavoro. Ma non contrabbandi gli ‘’esodandi’’ di domani come se fossero ‘’esodati’’ di ieri (i quali sono già ampiamente tutelati). Tutti i passaggi critici nell’economia del nostro Paese hanno potuto contare sul soccorso ‘’rosso’’ (il colore è quello dei  bilanci pubblici) della previdenza.

IL CASO DELLE PENSIONI DI INVALIDITA’

L’esorbitante riconoscimento delle pensioni di invalidità – negli anni ’70 e fino alla riforma del 1982 – svolse  una funzione di protezione sociale nelle aree del Sud impoverite dall’emigrazione del ‘’capitale umano’’ verso le città  del triangolo industriale. Poi – negli anni ’80 e fino ai primi anni ’90 – furono i prepensionamenti (più di 400mila per un onere di 50mila miliardi di lire) ad attutire i costi sociali dei processi di ristrutturazione industriale.

LE VERE DOMANDE

Per quanto riguarda la situazione attuale il governo è chiamato a rispondere a domande cruciali: è prevedibile che le imprese si riorganizzino, adattandosi ai nuovi livelli permanentemente più bassi, attraverso ristrutturazioni della produzione o anche vere e proprie chiusure di stabilimenti? Che si produca, quindi, un cambiamento permanente della stessa morfologia del nostro mercato del lavoro e del capitale umano, in conseguenza della riduzione della base produttiva del Paese?

LE ILLUSIONI DA ABBANDONARE

Se questa è la prospettiva non illudiamoci che sia possibile reperire risorse in grado di compensare la perdita di posti di lavoro con trattamenti pensionistici anticipati, erogati a persone ancora giovani in considerazione del trend demografico che li attende. Sarebbe la via più comoda, sulla carta: anziché adottare politiche attive del lavoro rivolte, nella misura del possibile,  a reimpiegare gli anziani che lo hanno perduto, li si manda in pensione e  al loro posto entrano i giovani. Non è forse questa la linea Madia per il pubblico impiego?

UN PAIO DI NUMERI

Il fatto è che tale soluzione – a fronte della riduzione della base produttiva ed occupazionale del Paese – sarà sempre più insostenibile per le finanze pubbliche. Una ventina di milioni di occupati non sarà in grado di ‘’mantenere’’ 60 milioni di italiani. Le risorse occorrenti non si troveranno mai: neppure assumendo misure da esproprio proletario per qualche centinaio di migliaia di pensioni elevate, che, peraltro, già sono sottoposte ad un contributo di solidarietà.

GLI INTERVENTI SULLE PENSIONI

Il ministro Poletti lo sa e non a caso aggiunge: ‘’dipende da dove si fissa l’asticella’’, lasciando intendere che occorre scendere di parecchio nella ‘’tosatura’’ degli assegni. Attenzione, però, a quanto hanno già dato i pensionati negli ultimi anni, in conseguenza dei provvedimenti adottati dai governi che si sono succeduti. Nel 2012 sono stati colpiti ben 5.192.338 pensionati per un totale di indennità di perequazione (il meccanismo di rivalutazione delle pensioni  rispetto al costo della vita) non erogata di circa 3,8 miliardi (la quota più consistente, per poco meno di un miliardo, è gravata sui percettori di un trattamento superiore a 3mila euro lordi mensili). Nel 2013, la platea è rimasta la stessa, ma il taglio è salito a 4,4 miliardi (di cui 1,1 miliardo a carico dei predetti pensionati con più di 3mila euro).

CONCLUSIONE

In sintesi ed arrotondando gli importi: nei due anni di blocco (2012 e 2013) la perequazione persa (per sempre) è ammontata a 8,2 miliardi (sic!) che, spalmati su 5,2 milioni di soggetti interessati, ha determinato una riduzione media di reddito pro-capite di 1.584 euro. Nel 2014 sarebbe dovuto tornare in vigore il sistema previgente di perequazione, ordinato per fasce orizzontali di pensione. Invece, il passaggio ad un diverso sistema di perequazione per fasce verticali – che è una misura di carattere strutturale – dovrebbe determinare, secondo le previsioni,  una riduzione di spesa, nel periodo 2014-2016, di circa 5 miliardi di euro.

Piuttosto che avventurarsi – giovanilisticamente – nell’ulteriore persecuzione dei nonni, sarebbe più opportuno dire ai padri che l’inutile bonus degli 80 euro non sarà più rifinanziato.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter