Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento del magistrato Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi
Il secondo capitolo della riforma della pubblica Amministrazione dovrebbe essere il più importante, giacché contiene le misure sulla sua riorganizzazione («semplificare e aumentare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni» scrive la legge). Dall’organizzazione discende la qualità e l’intensità del prodotto dello Stato: quindi, visto che, quanto a numero di dipendenti pubblici (Stato e aggregati), siamo in linea con i paesi dell’Ue, ne siamo lontani quando a produttività.
I servizi che le amministrazioni pubbliche italiane offrono ai cittadini sono molto diversi se si guarda al Nord, al centro, al Sud e alle isole. Sud e isole presentano una qualità scadente non confrontabile con il resto del Paese. Tuttavia, mediamente, il prodotto della pubblica Amministrazione italiana è nettamente inferiore a quello offerto in Francia, in Germania e, addirittura, in Spagna. C’è da aggiungere che, da noi, il fattore corruzione incide di più e coinvolge le strutture funzionali e quelle politiche.
C’era da aspettarsi, quindi, che la riforma affrontasse questo genere di problemi che non sono una novità e sono stati risolti in vario modo all’estero (il più interessante è l’Amministrazione per progetti, che consente di aggregare su specifiche missioni personale addestrabile o addestrato e di misurarne i risultati).
Vediamo adesso quali sono le misure approvate. Si comincia con la razionalizzazione delle autorità indipendenti. In particolare: è esclusa la possibilità che i componenti, alla scadenza del mandato, possano essere nominati presso altra autorità nei cinque anni successivi e vengono introdotte incompatibilità per dirigenti e membri delle autorità di regolazione dei servizi pubblici, Consob, Banca d’Italia e Ivass. Viene introdotta poi una nuova procedura unitaria per i concorsi del personale nelle autorità e si prospettano misure per la riduzione percentuale del trattamento economico accessorio (che pone questo personale in condizione privilegiata).
Si riduce anche la spesa per consulenze, studi, ricerche e per gli organi collegiali. S’introduce la gestione unitaria dei servizi strumentali e l’assoggettamento alle disposizioni in materia di acquisti centralizzati. Saranno individuati criteri comuni per la gestione delle spese per gli immobili.
È soppressa, dopo il suo totale fallimento, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp). Le sue funzioni sono trasferite all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Vengono unificate le scuole di formazione pubblica mediante soppressione di cinque organismi e la contestuale riassegnazione delle funzioni di reclutamento e formazione alla Scuola nazionale dell’amministrazione – Sna.
I regolamenti di riorganizzazione dei ministeri saranno adottati entro la metà di ottobre, semplicemente con decreti del presidente del Consiglio dei ministri (modalità rapida).
Come si può vedere dalla sintetica (ma puntuale) definizione della riforma, in materia di riorganizzazione, nessuno dei nodi che hanno impedito e impediscono la creazione di uno Stato efficiente e moderno a servizio dei cittadini è stato affrontato. Non si è nemmeno immaginato –è probabile- che potesse essere risolto, come s’era fatto in passato con alcune leggi storiche di riforma. Ricordiamo l’ultima e la più importante, la 241 del 7 agosto 1990: da essa si doveva partire per aggiornare il procedimento amministrativo e le responsabilità dirigenziali.
Come abbiamo scritto nei mesi scorsi, la qualità tecnica dello staff presidenziale (e del ministro Madia) è chiaramente insufficiente. E, questa della riforma della pubblica Amministrazione, è un’altra occasione perduta, anche se viene presentata come una svolta epocale. Di nuovo ci sono piccole misure di razionalizzazione che non incideranno né sul prodotto né sulla sua qualità.
Ci sono mille occasioni di riforma sul tappeto. Se il governo le coglierà come ha colto questa, sprecandole nel momento in cui passa al merito, avremo illuso gli italiani e non avremo dato loro la prospettiva che meritano. Certo, ci vorrebbe una massiccia dose di liberismo radicale o, in sciagurata alternativa, di collettivismo sovietico. Le mezze-mezze misure non servono che ad accentuare le difficoltà.