Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo l’editoriale di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza
E’ imploso il modello post comunista emiliano che era sopravvissuto, per più di un quarto di secolo, al crollo del Muro di Berlino ma con, al comando, le stese persone che lo guidavano prima della riunificazione tedesca. Il duo Pierluigi Bersani e Vasco Errani (che erano gli esponenti più potenti e significativi di questo modello post comunista), dopo aver subito tante sconfitte personali in pochi mesi, non sono riusciti nemmeno a far candidare il loro uomo (Daniele Manca, sindaco di Imola) alla presidenza della Regione Emilia Romagna ed hanno dovuto subire invece la candidatura di un renziano, Stefano Bonaccini, che è già segretario regionale del Pd.
BERSANI ED ERRANI OCCHETTIZZATI
Nel giro di pochi mesi quindi, lo scenario si è completamente modificato a danno di Bersani e di Errani. Un anno fa infatti, chi conosceva bene questo duo di politici d’alto rango, aveva anche tracciato il profilo “inarrestabile” della loro futura carriera politica che veniva definita, sempre dai loro amici, come “diritta come un fuso”. Bersani, allora segretario del Pd ed imminente premier, era infatti destinato a diventare presidente della Repubblica e Vasco Errani sarebbe diventato, prima o poi, presidente del consiglio. Adesso, i due, che avevano già fatto la staffetta alla presidenza della Regione Emilia Romagna, sono stati invece occhettizzati. Sono cioè nelle stesse condizioni di Achille Occhetto che, da segretario del Pds, si era posto alla guida di una invincibile “macchina da guerra” elettorale (la definizione fu sua) che invece, per eccesso di entusiasmo, andò fuori strada, trasformando così lo storico protagonista della Bolognina (la sezione nella quale Occhetto annunciò l’abolizione del Pci) in una figura immediatamente, ed ancor oggi, patetica, perché non c’è nulla di peggio, per un potentissimo, di non esserlo più.
IL MODELLO EMILIANO
Come tutte le grandi svolte politiche, esse avvengono improvvisamente e, spesso, senza motivi precisi. Negli edifici, prima del crollo, compaiono, alle volte, delle piccole crepe sui muri e, spesso, nemmeno quelle. Poi, d’improvviso, senz’alcun altro segno, viene giù tutto. Così, il 68 scoppiò improvvisamente in un periodo di grande sviluppo che avrebbe dovuto indurre i giovani a godersi la vita, non a scendere per le strade per fare la rivoluzione. Anche l’Urss si ridusse improvvisamente in polvere mentre era al massimo della sua potenza militare. Anche il modello post comunista emiliano è venuto giù d’un botto, senza che nessuno se lo aspettasse. Anche perché, in questo crollo, il centrodestra emiliano non c’entra per nulla.
I post comunisti hanno realizzato in Emilia un sistema politico di tipo cinese (senza opposizione, quindi) dove chiunque può vivere alla grande se non mette becco nella decisioni del Pd e, se ci mette becco, è solo per fare gli elogi di chi, il Pd, lo guida.
Un modello di questo tipo (ecco la differenza, e non da poco, fra l’Emilia di oggi e l’attuale Cina finto comunista), un modello di questo tipo, dicevo, si è istaurato senza l’uso della forza ma con la supina acquiescenza del ceto borghese e libero professionale emiliano che, a cena, fra amici, o nei vari circoli più o meno esclusivi, dice peste e corna del modesto ceto post-comunista locale e regionale ma che poi, in pubblico, o sta zitto, oppure applaude. E’ chiaro che una schizofrenia di questo tipo, finisce per essere soffocante, ma è anche vero che, in assenza di un ceto che sia disposto a difendere le sue idee ma che invece è ripiegato solo in difesa del suo particolare, questa egemonia senza merito, finisce per affermarsi, non, ripeto, grazie all’abilità degli egemoni senza ricambio, ma solo per responsabilità di un ceto dirigente locale, diciamo borghese, che ha rinunciato a far valere le sue visioni.
L’ABDICAZIONE DEL CENTRODESTRA
Questo modello post comunista ha retto sinora solo perché la classe dirigente di centrodestra emiliana ha abdicato, nel suo complesso, al suo ruolo dirigente (e quindi anche antagonista rispetto ad una grigia burocrazia politica di tipo piccolo borghese del Pd) e soprattutto perché i giovani di talento hanno smesso di interessarsi ad una politica sofficemente (ma anche implacabilmente) ossificata in un ristretto cerchio magico, e quindi, molto spesso, sono emigrati altrove per cercare di realizzarsi. Il loro motto è stato: “Dormite pure nel vostro welfare di bambagia, ma non con noi, che abbiamo altro da fare che prepararci allo sfinimento”. Il risultato è stato un sistema politico egemone apparentemente fortissimo ma anche con i piedi d’argilla. Che, alla prima occasione, è venuto giù come un castello di carta.
UN’EGEMONIA NEGATIVA
Per dare l’idea di questa egemonia negativa, perché soffocatrice di ogni possibilità di pluralismo, anche minimo, si può ricordare un aneddoto. Un’amministrazione comunale emiliana vuole realizzare un Festival cosiddetto culturale che, quando si potevano fare i buchi nel bilancio, costava un milione di euro. Venuta la crisi, in qualsiasi paese normale, specie se gestito da una forza di sinistra, non ci sarebbe stata alcuna esitazione nello scegliere fra il Festival cosiddetto culturale e, poniamo, i 400 mila pasti che mancano alle associazioni caritative. Ma il Comune post comunista invece va avanti come un treno. I soldi che gli mancano (grazie alla crisi, verrebbe voglia di dire) li chiede alla Fondazione bancaria locale che non può dire di no perché, è vero che ha una maggioranza borghese ma, al suo interno, ci sono anche degli esponenti di sinistra che, volendo, possono fare un casino mica male. Poi il Comune si rivolge alla Camera di commercio che, pur avendo idee diverse, per gli stessi motivi deve “scucir tacendo”. Quindi batte cassa alla Banca locale che, gestendo la tesoreria del Comune non può certo dire di no. Ma può sottrarsi la società che ha un grande fatturato con l’Asl che, come si sa, non è gestita dal vescovo? E così via.
Come si vede, alla rete bonariamente soffocante del Pd (“c’è un business per tutti”) non sfugge nessuno in Emilia, una regione che, nonostante le favole, non è popolata da cuor di leoni. Del resto, non era Bertolt Brecht che disse: “Beato il Paese che non ha bisogno di eroi”? Ma questo sistema, alla lunga, non ti consente di respirare. E adesso infatti è stato fatto saltare, non dal centrodestra, che viveva benissimo in una beata ibernazione, ma dalle nuove leve di Pd (i renziani, per capirci) che, a questo comunismo di bambagia, tenero ma soffocante, non resistevano più.