Sappiamo tutti molto bene che la politologia è morta da un pezzo. E con essa è scomparsa pure la rilevanza che un tempo le idee generali avevano nell’ispirare e muovere le concrete azioni politiche. In fondo, nessuno di noi sente nostalgia per le astrattezze, anche quando, come sta avvenendo oggi, le ideologie continuano a dominare in modo latente e spesso subdolo il fare dei protagonisti.
Ieri è stato il giorno di Matteo Renzi. Il premier, infatti, ha annunciato che non rinuncerà per nulla al suo programma ambizioso di riforma del mondo. Soltanto deve rivedere il calendario, allungandolo di qualche anno. “Giudicatemi nel 2017”, ha implorato. Vale a dire, datemi il voto quando non si sa neanche se il Paese esisterà ancora.
Mah. Vedremo. In ogni caso il Governo, dopo la nomina europea della Mogherini, vuole restare in sella e continuare a cambiare almeno l’Italia: mille nuovi asili, bonus ai lavoratori dipendenti, adozione del modello tedesco per quanto attiene allo snellimento burocratico per le aziende che assumono, nonché, neanche a dirlo, riforma del lavoro.
Bene. Il problema vero, in realtà, non sono né i tempi lunghi e neppure il rischio, paventato dal centrodestra, che in occasione delle amministrative Renzi ci spinga ad elezioni anticipate, superando così l’ostacolo dell’annuncite e scegliendo l’esibizione solita delle reciproche mirabili gesta comunicative.
Quello che sfugge nell’ordinario sequel di apparenza è appunto il presupposto ideologico sbagliato che orienta il centrosinistra in questo momento storico.
A cosa serve, anche posto di riuscirvi, fare tutti questi interventi riformatori se non viene potenziata la nostra economia?
Chi produce ricchezza? L’aumento del tenore di vita, generato da aziende che guadagnano e assumono, oppure uno Stato che, se anche divenuto efficiente (magari lo fosse), resterà comunque un carico faraonico e inutile di spese per tutti?
Noi non cresciamo come Paese più da una vita. Questo è il dramma. E siamo in recessione non malgrado, ma a causa della politica, della sua presenza costosa e massiccia, della sua burocrazia, dei poteri che sono esercitati da magistrati, amministratori, eccetera che vogliono leggi di sistema unicamente per la difesa dei propri interessi corporativi di classe.
Le vere riforme Renzi, insomma, non le ha neanche promesse, non dico proposte o pensate, perché richiedono di rimuovere precisamente i motivi di fondo del suo elettorato e della sua esistenza politica.
La ripresa economica è possibile, viceversa, unicamente ricostruendo la nostra comunità come sovranità salda, sorretta da legami umani veri, solidi e anteriori ad ogni altro interesse successivo.
Non è uno Stato efficiente o una nomina prestigiosa a Bruxelles a rimediare al caos in cui siamo, ma la rimozione di una linea sbagliata, incentrata solo sul ruolo della politica e non sul primato attivo della società. Se si muore di artifici costosi e improduttivi, non è certo migliorandoli che se ne esce, ma eliminandoli alla radice.
La politica del Governo è molto debole su questo punto: è un’ideologia statalista, non finalizzata a superare il dualismo schiacciante tra realtà sociale depressa, da un lato, e potere parassitario di rappresentanza, dall’altro.
Da noi è la democrazia che non va perché concepita come un organismo estraneo ai cittadini, costoso e fine a se stesso, e non come mezzo al servizio di un popolo che è produttivo quando resta positivamente estraneo e libero dalla politica. Finché non si indebolisce l’automantenimento dello Stato e dei suoi sperperi, saremo sempre sudditi di legittime lobbie finanziarie nazionali, pseudo europee e internazionali.
Ricostruire, in sostanza, l’identità di Stato e comunità, partendo dalla società reale, è quello che serve, ed è esattamente l’opposto delle riforme inseguite dal centrosinistra con i tweet renziani. Questo è il messaggio di alternativa che dovrebbe lanciare lo “spazio politico” della cosiddetta opposizione responsabile. Un’opposizione, all’opposto, che sembra essere più educata che di centrodestra. E, alla fine, più intelligente che utile.