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La rivincita di De Gasperi

Il “torpido” e “ottuso” dato da Palmiro Togliatti ad Alcide De Gasperi, commentandone la morte in una lettera al compagno di partito Fausto Gullo, non glielo avrebbe forse potuto perdonare politicamente e umanamente neppure il volenteroso Pietro Scoppola. Che spese la sua vita di storico del cattolicesimo politico italiano cercando di minimizzare la portata della rottura consumatasi nel 1947 fra i democristiani e i comunisti e di ricondurre in qualche modo ad unità gli uni con gli altri. Una unità, peraltro omonima della testata del giornale storico del Pci fondato da Antonio Gramsci, destinata a realizzarsi con la costituzione del Partito Democratico nel mese di ottobre del 2007, proprio nei giorni in cui Scoppola moriva.

Della lettera di Togliatti a Gullo, datata 25 agosto 1954  e scritta durante una vacanza in Val d’Aosta, si è appreso solo in questi giorni grazie alla rivista “Critica Marxista” diretta da Aldo Tortorella e Aldo Zanardo. Per fortuna la festa nazionale dell’Unità ancora in corso a Bologna non è stata dedicata a De Gasperi, come imprudentemente aveva invece proposto in agosto il post o ex democristiano Giuseppe Fioroni fra le proteste del post o ex comunista Ugo Sposetti e lo stupore della figlia dello statista, Maria Romana. Che bollò l’idea di Fioroni come “strana”, per cui la sinistra si divise al Verano fra i pochi post o ex democristiani raccoltisi davanti alla tomba di De Gasperi, nel sessantesimo anniversario della morte, e i meno pochi e più graduati post o ex comunisti, fra i quali il ministro della Giustizia Andrea Orlando, raccoltisi davanti alla tomba di Togliatti, nel cinquantesimo anniversario della scomparsa. Pensate un po’ se alla festa dell’Unità bizzarramente dedicata a De Gasperi si fosse presentato Tortorella per spalleggiare gli umori e le proteste di Sposetti e leggere a compagni e amici la lettera di Togliatti finita in possesso della sua rivista attraverso l’archivio privato di Gullo depositato in un istituto calabrese.

A sette anni dalla rottura consumatasi tra loro, e i rispettivi partiti, e a sei giorni dalla morte dell’ex presidente del Consiglio e leader democristiano, Togliatti non perdonava a De Gasperi solo la rottura, lamentata con una pubblica dichiarazione, della coalizione antifascista costituita dai governi a partecipazione comunista. No, scrivendone in privato a Gullo, egli rimproverava a De Gasperi anche “le dichiarazioni volgari e vergognose fatte per la morte di Stalin”, avvenuta l’anno prima. Ma ancora di più non perdonava a De Gasperi, evidentemente anche in riferimento al periodo in cui aveva collaborato con lui nel governo come guardasigilli, “l’asprezza e talora la violenza dell’attacco politico”, cioè della sua linea, vedendovi un “sacrificio del comune senso di umanità, ma soprattutto dell’intelligenza, della  luce intellettuale, vorrei dire”. Malvagio e stupido, quindi, il De Gasperi visto da Togliatti, e non solo “torbido” e “ottuso”, mosso “non da una passione grande, ma da una cattiva piccineria”.

A peggiorare De Gasperi, sempre secondo Togliatti, fu anche la sua “religione”. Che, almeno “nel modo inteso” e vissuto dallo stesso De Gasperi, “rende gli uomini cattivi, perché li spinge a giudizi e condanne assoluti, privi di comprensione per la coscienza e la causa degli altri”. Eppure è la stessa religione, quella cristiana, che l’ateo Togliatti, nella sua nota e storica doppiezza, per opportunismo politico aveva voluto pubblicamente e politicamente onorare votando a sorpresa per l’inclusione del Concordato con il Vaticano nell’articolo 7 della Costituzione repubblicana.

Tutto sommato, la rivelazione della lettera inedita dell’allora segretario comunista a Gullo è una rivincita di De Gasperi, nella tomba dove riposa davanti alla Basilica di San Lorenzo al Verano.  Una rivincita contro i tentativi maldestri compiuti dopo la sua morte da storici e politici di accostarlo al suo avversario, sino a collocarlo in un fantomatico e truffaldino pantheon del Partito Democratico. Le cui origini, anche ora che ne è segretario un giovane di provenienza o scuola democristiana come Matteo Renzi, rimangono ibride, a dir poco. E ibrido rischia di rimanere il suo percorso.

Francesco Damato


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