Il summit Nato in Galles lascerà in eredità qualcosa destinato, forse, a cambiare radicalmente il corso degli eventi recenti: la nascita di nuova coalizione internazionale contro il terrore.
L’ASCESA DEI “BARBARI”
Dal crollo delle Torri Gemelle in poi è apparso chiaro che nulla sarebbe più potuto essere come prima e che l’Occidente – secondo diversi commentatori – avrebbe dovuto prepararsi a fronteggiare per anni, forse decenni, un nemico pericoloso e impalpabile, che avrebbe seminato paura e morte facendo leva sul fondamentalismo islamico. Una minaccia che ha preso nel tempo le sembianze di molti gruppi organizzati e spesso collegati tra loro, da al-Qaeda fino ad arrivare allo Stato Islamico, quest’ultimo capace come e più di altri di azioni di inaudita ferocia e dotato di risorse e di un’organizzazione capillare che lo rendono un esercito a tutti gli effetti. Nonché un nemico da “distruggere”, come lo ha definito il presidente americano Barack Obama, commentando le selvagge decapitazioni dei giornalisti statunitensi James Foley e Steven Sotloff.
L’APPELLO DI KERRY
L’appello del segretario di Stato americano John Kerry non è caduto nel vuoto: l’Occidente si stringerà per combattere l’ascesa dell’Isis in Iraq e Siria. E lo farà attraverso un gruppo di Paesi che condivideranno azioni che saranno solo in parte militari (un’opzione discussa tempo fa anche su Formiche.net).
Secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times, questa mattina Kerry, il segretario americano alla difesa Chuck Hagel, il ministro degli esteri britannico Philip Hammond e il segretario alla difesa UK Michael Fallon hanno presieduto una riunione con colleghi di altri sette membri della Nato, tra cui Francia, Germania, Canada, Turchia, Italia, Polonia e Danimarca e l’Australia come osservatore, per discutere di come affrontare l’Islamic State. Questo sforzo, confermato poi in una dichiarazione congiunta di Kerry ed Hagel, sarà anche oggetto di un focus in una prossima assemblea generale delle Nazioni Unite in programma a New York tra due settimane.
LE AZIONI PREVISTE
Le azioni avranno l’obiettivo principale di ridurre progressivamente le capacità del gruppo terroristico fino ad azzerarle. Come? Agendo sulla fornitura di un sostegno militare all’Iraq, la necessità di fermare l’arrivo di combattenti stranieri (i cosiddetti foreign fighters), la propaganda e i finanziamenti all’Isis, oltre ai modi per gestire l’enorme flusso di rifugiati e affrontare “la crisi umanitaria”.
Nella nota delle autorità statunitensi non si citano azioni belliche, come raid aerei, e nemmeno la possibilità che i ribelli moderati in Siria siano addestrati o armati. I funzionari Usa, comunque, non escludono queste opzioni.
UNA LOTTA DIFFICILE
Tutti i ministri hanno convenuto sulla necessità di lavorare alla formazione di un governo di unità nazionale in Iraq che includa le minoranze sunnite e curde. Hagel e Kerry hanno poi sottolineato che per “indebolire e distruggere la minaccia posta dall’Isis serviranno tempo e perseveranza”. Anche per questo gli Usa continuano a fare pressione perché il gruppo di volenterosi si allarghi nei prossimi giorni. Secondo molti analisti è in atto non una semplice guerra, ma una lotta senza quartiere per la sopravvivenza dei valori occidentali e per lo stesso equilibrio nel mondo islamico. Per questo stupisce assai poco che oggi persino l’Iran sciita – si apprende dal canale BBC in lingua persiana – abbia offerto piena cooperazione agli Stati Uniti nella lotta ai jihadisti.