Ciò che oggi occorre è un patto “sulle regole”, sostanziale più che formale, che individui sedi di confronto sulle grandi scelte strategiche dell’economia e della società; strumenti per governare gli effetti sociali delle trasformazioni; nuove e più adeguate regole di tipo partecipativo e collaborativo nelle relazioni industriali e nei rapporti, anche con il governo, per approfondire ed individuare forme di prevenzione e modernizzazione dei conflitti: soprattutto in una società che dà poche risposte a temi importanti come il lavoro e la povertà in generale. Non serve invece, come pure da molti auspicato ancora oggi, un intervento normativo che affidi alla legge il compito di misurare con regole certe il grado di rappresentatività del sindacato. E’ il fondamentale principio di libertà di azione sindacale che rende non solo superflua – ma anche dannosa ed inopportuna per una società complessa come la nostra che aspira ad essere aperta e pluralista – una legge che disciplini la rappresentanza sindacale.
Chi davvero crede in un progetto democratico e pluralista non può che aderire ad una concezione aperta della società: una società che, per ravvivare la fiducia e la speranza, vive e si alimenta anche di conflitti sociali e nasce dalla libertà proprio perché in essa nessuno può permettersi di assolutizzare – tanto meno con l’intervento di una legge o del giudice – le proprie visioni del mondo (e questo vale anche per i cosiddetti temi etici). Ma, anzi, le sfide del cambiamento impongono semmai di affrontare con decisione il tema della democrazia economica ovvero della partecipazione ai processi decisionali della società: e per questo sono necessari, anche, corpi intermedi forti, vitali e riformisti.
Un ambizioso processo di riforme dovrà necessariamente scontare ritardi, contraddizioni, battute d’arresto, mediazioni. Per mantenere la rotta saranno necessarie quelle stelle polari rappresentate dai valori di riferimento. Mi riferisco in particolare a quei valori della persona, della famiglia e della comunità che negli anni scorsi sono stati sottovalutati, se non addirittura negati.
Ed è proprio in questa lunga, complessa, difficile transizione verso la cosiddetta “seconda modernità” che essi appaiono straordinariamente attuali e, quindi, utili ad orientare l’azione dei “decisori” (ovunque e chiunque essi siano), spesso smarriti di fronte ai problemi ed alle novità. “Decisori” che devono essere riformisti con i fatti (e non solo a parole) e disponibili a trovare un’intesa forte ed ampia con le forze che hanno a cuore il “bene del Paese”: il vero riformista non può essere “un uomo solo al comando”.
Oggi questi valori possono essere rivalutati da una larga parte della società italiana attraverso percorsi tanto della fede quanto della ragione: noi faremo, ancora, la nostra parte con impegno e passione.
Carlo Costalli
presidente del Movimento Cristiano Lavoratori