Chissà come avrebbe affrontato il rebus Emilia Romagna il Matteo Renzi prima maniera, quell’arrembante sindaco di Firenze rottamatore verso tutto e tutti. Avrebbe probabilmente denunciato i caminetti romani che volevano trovare un nome calato dall’alto per il candidato governatore dell’Emilia. Avrebbe chiesto a gran voce le primarie senza se e senza ma. Avrebbe suggerito a chi è indagato l’opportunità di un passo indietro.
Il Matteo Renzi di Palazzo Chigi è invece più prudente, lascia per ora la palla alla direzione regionale del partito che si riunirà a breve per valutare gli sconquassi dell’inchiesta di Bologna e si limita a un tweet in cui assicura che saranno i cittadini a scegliere il candidato con le primarie.
Ciò che è emerso in Emilia, hanno sottolineato molti osservatori, è soprattutto il conflitto nel Pd tra giustizialismo e garantismo. Il segretario della nuova era democrat potrebbe, dovrebbe, approfittare del caso per sciogliere definitivamente e con chiarezza questo nodo irrisolto. Il Pd è ancora il paladino delle toghe come è stato nel ventennio berlusconiano in cui la condanna era sempre e solo verso il politico coinvolto nelle inchieste o i dimenticati principi di garanzia sono tornati a valere perché “i candidati non li scelgono i giudici ma gli elettori”?
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