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Perché è necessaria l’Unione energetica europea

L’Europa è un potenziale gigante in campo energetico, ma fatica a tradurre in realtà economica e tecnologica il suo patrimonio unico di conoscenze scientifiche. È il paradosso messo in luce dal convegno promosso alla Sala del Mappamondo di Montecitorio da ItaliaDecide, il pensatoio di analisi sulla qualità delle politiche pubbliche creato e guidato da Luciano Violante.

Un’iniziativa che nel titolo – “Verso l’Unione energetica europea: il ruolo della ricerca comunitaria e nazionale” – prefigura la strada per affrontare e risolvere i ritardi del Vecchio Continente e dell’Italia. Realtà che faticosamente comincia a percorre la giusta direzione in un comparto cruciale per la ripresa produttiva.

Un’ambiziosa politica ambientale

Nelle linee-guida del programma della nuova Commissione Ue, ricorda l’ex presidente della Camera dei deputati, è ben presente l’obiettivo di una robusta strategia energetica europea – la più rilevante tra le politiche di Bruxelles – per governare la ricerca e la produzione innovativa delle fonti di riscaldamento, sostenere il ciclo economico e combattere in modo lungimirante i cambiamenti climatici.

Esigenza che, rileva il presidente di Sogin Giuseppe Zollino, comporta il taglio dell’80 per cento delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030. Nel comparto elettrico ciò equivale alla loro eliminazione integrale. Ma il numero uno della società pubblica creata per bonificare e smantellare rifiuti e scorie delle centrali nucleari è convinto della realizzabilità del progetto “grazie all’utilizzo di tecnologie promettenti sul piano economico”.

L’esigenza di un polo scientifico europeo

Una politica condivisa a livello comunitario, spiega il direttore dell’Istituto per l’Istituto per l’energia e trasporti della Commissione Ue Giovanni De Santi, richiede una comune preparazione tecnologica. A suo giudizio è necessario costruire un polo scientifico europeo neutrale, fondato sulla rete dei centri di eccellenza nazionali: “È la forma più efficace e trasparente per ottenere il consenso e il co-finanziamento dei diversi Stati membri”.

Requisito ritenuto valido dall’ex ministro dell’Università Francesco Profumo: “Negli ultimi anni il deficit Ue in campo energetico è aumentato enormemente, raggiungendo i 450 miliardi di euro. Il 45 per cento delle fonti di riscaldamento è importato dai paesi extra-europei. E gran parte delle nostre centrali lavorano molte meno ore all’anno rispetto alle loro potenzialità”.

Per mettere in campo un’intelligenza collettiva e strategie globali di generazione energetica – soprattutto nel campo delle fonti rinnovabili in vista dell’esaurimento degli incentivi pubblici previsto nel 2030 – l’ingegnere del Politecnico di Torino propone una programma europeo capace di riconoscere ampi spazi di autonomia nazionale nel terreno delle “energie verdi”.

Un panorama critico

Tuttavia un progetto unificante, che contempla un volume di investimenti produttivi pari al 3 per cento del PIL comunitario, non è sufficiente. A rimarcare l’esigenza di mettere in moto un processo di industrializzazione europea su larga scala nel mercato dei prodotti energetici a elevata tecnologia è Valeria Termini, vice-presidente del Council of European Energy Regulators e commissario dell’Autorità per l’energia presieduta da Guido Bortoni.

Tra il 1982 e il 1999, racconta l’economista dell’Università di Roma Tre, le grandi imprese energetiche nordamericane, giapponesi e coreane hanno aumentato enormemente le risorse interne dedicate a intelligenza, ricerca e capitale umano. Nel 2010 in tale comparto le aziende Usa hanno speso 200 miliardi di euro, quelle europee 150 miliardi, quelle nipponiche 92. Nell’Ue le realtà produttive in testa alla graduatoria sono tedesche, con un complesso di 45 miliardi e un record nell’installazione dell’energia solare oltre a grandi performance nel settore eolico.

Le aziende italiane si fermano a investimenti per 10 miliardi di euro. Più incoraggianti le cifre relative al tasso di efficienza energetica. Il nostro paese – in cui negli ultimi 3 anni il 23 per cento delle imprese si è focalizzato sulle fonti rinnovabili – si attesta al 3° posto tra le 12 principali economie che rappresentano il 78 per cento del PIL mondiale.

La voce degli atenei 

La necessità di sinergia e coordinamento tra strategie nazionali è evidenziata dai rappresentanti degli atenei europei intervenuti al convegno.

Da Antonello Monti, ricercatore all’Università tecnologica di Aquisgrana nel Land tedesco del Nord Reno-Westfalia, che beneficerà di un’interazione tra ricerca e industria nell’ambito elettrico supportata dal governo regionale per i prossimi 15 anni. A Nouredine Hadj-Said, vice-direttore del Grenoble Institute of Technology, in un paese come la Francia che nell’arco di 10 anni deve portare dall’80 al 50 per cento la produzione di energia da fonte nucleare.

Fino a Margot Weijnen, direttore scientifico della Next Generation Infrastructures Foundation presso l’Università tecnologica di Delft in Olanda. Ma per la studiosa l’integrazione istituzionale è lungi dall’essere realizzata in un mondo sempre più precario nel terreno energetico, “come rivelano il disastro di Fukushima in Giappone, l’exploit dello shale gas negli Stati Uniti, la crisi tra Russia e Ucraina.

Liberalizzare per ridurre i costi

La valutazione più critica nei confronti della politica europea è espressa dal presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli. Il quale parla di “fallimento” di una strategia concepita in nome della lotta al riscaldamento climatico e che è riuscita a provocare l’aumento delle emissioni di Co2 ponendo vincoli eccessivi all’economia.

Ai suoi occhi la strada da intraprendere deve essere quella statunitense fondata su liberalizzazioni e privatizzazioni, “capace di produrre un costo dell’energia di gran lunga inferiore rispetto a a Ue e Italia”.

L’orgoglio nazionale

Ritardi che per il vice-ministro per lo Sviluppo economico Claudio de Vincenti coesistono con eccellenze registrate dall’Italia nel terreno energetico: promozione dei bio-combustibili di avanguardia, grandi risultati nel geo-termico, nel solare, nello sviluppo dell’efficienza, nella crescita delle reti intelligenti in grado di governare fonti eterogenee di riscaldamento.

La strategia energetica dell’Italia

Tuttavia, osserva l’esponente del governo, la componente di risorse orientate alla ricerca energetica in rapporto al Prodotto interno lordo è molto più bassa rispetto alla media Ue. Così come la capacità di utilizzare in tal senso i fondi strutturali europei.

È per questa ragione che nella primavera 2013 il nostro paese ha messo a punto la Strategia energetica nazionale “contenente i pilastri di una visione laico-scientifica: efficienza – che coinvolge sicurezza, costi, autonomia – sviluppo di reti in grado di governare l’utilizzo delle fonti pulite cui l’eccessiva generosità degli incentivi pubblici non ha apportato benefici – realizzazione di un mercato europeo”.

La missione dell’Europa

E a livello Ue, conclude De Vincenti, la priorità è un intervento della comunità scientifica per coniugare gli obiettivi ecologici e climatici dell’Unione con lo sviluppo economico. La missione europea nel mondo è “creare per la prima volta nella storia l’industria ambientalmente compatibile”.


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