Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Con l’ISIS che entra in queste ore (è il sette ottobre 2014 mentre scriviamo) nell’area periferica di Kobane, la città siriana nell’area di Aleppo più vicina al confine turco, con un nome che significa “primavera degli arabi” in curdo, la situazione geopolitica dell’Europa, e quindi dell’Italia, cambia radicalmente.
I curdi, che si sperava magicamente, pur da grandissimi combattenti quali sono sempre stati, potessero bastare da soli a bloccare e magari disperdere l’avanzata del jihad verso la costa mediterranea, sono stati ormai in gran parte debellati.
E, con tutta probabilità, la linea strategica del “califfato” sarà quella di congiungersi con la rivolta delle popolazioni sciite nel Libano meridionale, con una colonna dell’ISIS verso Baalbeck, che naturalmente si prefiggerà di fare quello che tutti gli islamisti ardentemente vogliono, ovvero l’eliminazione dell’”Entità Sionista”.
Quindi, tutta l’equazione strategica nella quale abbiamo operato dal 1989, con la fine del Patto di Varsavia e poi, con la War on Terror dopo l’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono (e alla Casa Bianca, non dimentichiamolo) ha cessato di operare i suoi effetti, in questi giorni.
Tanto più che, se Kobane è a pochi chilometri dal confine turco, si innesca qui un’altra questione di straordinario rilievo: la funzione dell’articolo 5 nel quadro NATO, visto che la Turchia fa parte, ed è anzi la seconda Forza Armata dell’Alleanza dopo quella degli USA, dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.
Come è noto, l’art. 5 del Trattato afferma che “ in un attacco armato contro uno o più tra i firmatari sarà considerato un attacco anche verso gli altri e quindi, ognuno dei Paesi firmatari, seguendo l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la o le Parti fatte segno ad un attacco”.
Bene: se la Turchia, che entrò nella NATO in un contesto di ricostruzione del Paese in termini alla Atatűrk, laicisti e di “democrazia regolata”, che oggi non sussistono più, viene quindi attaccata e si richiama all’art.5 del charter dell’Organizzazione del Patto Atlantico, cosa succede? E, per essere più precisi, cosa succede in Italia?
Per non parlare neanche del quadrante libico, dove, recentissimamente il gruppo ansar al sharia ha dichiarato un “emirato islamico” nella parte orientale di Derna, giurando peraltro fedeltà al “califfato” iraqeno dell’ISIS, e mentre a Benghazi avvengono centinaia di assassini “mirati” senza che nessuno riesca a controllare la situazione, e, paradosso assoluto, mentre il “fondo” che gestisce i prodotti petroliferi libici, il LIA, chiama in tribunale Goldman Sachs per presunti danni di oltre un miliardo di USD.
Se quindi si destabilizza il Maghreb e l’antisemitismo che corre nelle vene di molti dei paesi occidentali (si pensi ad un gigante USA delle pubbliche relazioni che ha rifiutato un contratto da parte di una azienda israeliana, dato che già l’azienda USA lavora per la Fratellanza Musulmana) diventa “militante”, siamo davvero soli, e più deboli che mai.
Dal punto di vista dell’intelligence italiana, questo è un danno ancora più grave che non per altri Paesi nostri alleati.
Se è vero che la nostra intelligence ha sempre avuto una linea razionale e chiara nel Mediterraneo, dalla “conquista” della Tunisia con l’indimenticabile amm. Fulvio Martini, capo del SISMI dal 1984 al 1991, che anche Francesco Cossiga stimava altamente, fino alla gestione attenta del quadrante ma senza, di fatto “coperture” politiche durante la destabilizzazione del regime gheddafiano in Libia; allora la questione intelligence, dopo la riforma del 2007 che ha definito il DIS, oggi ormai “cabina centrale” delle Agenzie interna e estera, AISI e AISE, diventa centrale per tutto il nostro Paese.
Abbiamo avuto, più di altri Paesi alleati, una difficoltà di rapporti tra il vertice politico-istituzionale italiano proprio perché era finita la cosiddetta “Prima Repubblica” ed era cessato quel sistema politico per il fatto che l’Italia era stata obiettivo di azioni di intelligence portate a segno sia da Paesi alleati che da nazioni storicamente nemiche.
Le forze politiche che si sono succedute al Governo, in tutta la sequela della “seconda” Repubblica, avevano una idea molto autoreferenziale e talvolta parrocchiale della politica italiana mentre, nella fase iniziale della nostra storia repubblicana, tutti i partiti politici avevano una perfetta conoscenza del sistema dell’intelligence e dei suoi fini, perfino i comunisti, che pure erano, e non lo nascondevano, legati all’URSS e quindi al Patto di Varsavia.
Siamo quindi in una situazione in cui certi Presidenti del Consiglio si informano su un Paese dove stanno andando in visita di Stato leggendo, sull’aereo, il fascicolo di una nota (e ottima) rivista che parla di quel Paese.
Oppure siamo ad una lettura dell’intelligence, per quel che riguarda il nesso tra sovversione interna e jihad globale, come se questa fosse una forza di polizia, il che peraltro è espressamente proibito dalle leggi, e non solo in Italia.
Tutti i protagonisti della “seconda” Repubblica, poi, hanno assorbito la fabula di Servizi, all’epoca della cosiddetta “strategia della tensione”, che fu tutt’altro da quello che si immagina, lavorassero per non si sa chi.
E anche questa è una difficoltà di lavoro che nemmeno una riforma come quella del 2007 ha potuto modificare, perché, appunto, anche le sentenze giudiziarie su tante questioni della destabilizzazione dell’Italia negli anni ’70 e ’80 (ecco la vera “tensione”) hanno rovesciato la vulgata sulla inaffidabilità dei Servizi, che erano, ringraziando il Cielo, del tutto e pienamente “atlantici”.
Insomma, per una serie di motivi l’intelligence italiana non è ancora a suo agio nel suo Paese dove, molto più che in altre nazioni europee, è stata un oggetto di speculazione politica.
La fondazione, da oltre un anno, di un portale della sicurezza nazionale (www.sicurezzanazionale.gov.it) la politica di comunicazione pubblica innovativa e spiazzante, il road show della nostra intelligence nelle più importanti università e in molte scuole sono tutti segnali positivi, che non vanno affatto trascurati, ma il vero problema rimane quello del canale decisionale tra le Agenzie e il Decisore, che non è necessariamente solo quello notissimo e visibile.
Sembra in effetti che, in tutte le Agenzie occidentali, si sia ormai indebolito il rapporto di fiducia, che riguarda sia la qualità caratteriale e intellettuale del Decisore, che deve esserci tra il Capo del Governo o dello Stato e la sua Intelligence.
Nel caso dell’Italia, c’è anche la scarsa legittimazione, malgrado tutto, dei nostri Servizi presso la popolazione, che è stata innaffiata e talvolta ubriacata con notizie farlocche sui “servizi deviati” come se, data la struttura dell’intelligence, non fossero i Decisori, infatti, “deviati”, e non la Struttura del Servizio, che non poteva se non eseguire gli ordini.
E, comunque, oggi, sia negli USA che in altri Paesi europei, manca l’essenziale, ovvero la comprensione, da parte dei governanti, dello strettissimo nesso che sussiste tra la sicurezza dello Stato e lo sviluppo economico, tra la protezione di alcuni nostri alleati e la nostra stessa sicurezza, tra l’economia interna e la strategia globale dell’Italia come di tutti i nostri principali alleati.
Barack Hussein Obama, per esempio, ha recentemente affermato, in una intervista a Thomas Friedman, nel giugno scorso, di avere “una certa invidia della Cina” che cura, secondo Obama, i suoi interessi interni di sviluppo senza immischiarsi negli affari del mondo, e il Presidente USA ha aggiunto che per risolvere i problemi mondiali occorre “una vasta azione inclusiva”, coinvolgendo tutti, ma proprio tutti, gli attori globali.
E’ vero che la Cina non opera militarmente all’estero, ma si sta riarmando a tappe forzate, e sta ormai controllando, con il suo “braccio armato”, gran parte del suo Estero Vicino.
A Pechino sanno benissimo che la Pace ha bisogno della Guerra e viceversa, hanno studiato le tradizioni Zen (che vengono insegnate anche nelle migliori accademie militari) e sanno che occorre colpire con una spada presa in prestito, (cap.1, 36 stratagemmi) oppure che occorre creare una cosa dal nulla, oppure ancora che è necessario nascondere una spada dietro un sorriso. E quindi, in termini di scontro bellico, fanno lavorare gli altri: gettare un mattone per ottenere una gemma di giada.
E quindi torniamo alla domanda, ormai del tutto retorica, della reazione dell’Europa occidentale, che ormai si sente un Circo a Tre Piste multietnico, multirazziale, multiculturale, una America in ritardo che, diversamente dall’originale, ha paura di tutto.
Quindi, anche se non entro qui nella questione della qualità ed efficienza dei nostri Servizi (io continuo a chiamarli così, “Agenzie” mi sembra un termine riduttivo) per ovvi motivi, sono invece del tutto certo che, oggi, non ci siano leaders politici, nei vari schieramenti attuali, che peraltro sono privi di idealità e di progetti a lungo termine che non siano l’adorazione del leader di turno, che sappiano leggere e utilizzare l’intelligence per tutto quello, che è molto, che potrebbe fare.
Penso, per esempio, all’inerzia dei Decisori francesi e britannici nella gestione attuale del caos libico, che peraltro hanno direttamente causato con l’ingenua ideologia della “universalizzazione della democrazia” come se, peraltro, un Paese del Maghreb, se divenisse democratico, potesse fare solo e unicamente il nostro interesse.
E penso inoltre all’improntitudine della nostra classe politica nei confronti della crisi in Ucraina, della quale non è stato letto il nesso principale: la nuova proiezione della Federazione Russa, tramite il Mare di Azov, verso la Turchia e il Mediterraneo orientale, e la parallela ricerca, sempre da parte del Cremlino, di ricostruire in termini geoeconomici la sua grande area di protezione in Europa Orientale, con la successiva proposta all’Italia e al resto dell’UE di una Unione Eurasiatica che disfacerà la NATO, relegherà la UE a comitato di affari, e estrometterà gli USA dagli affari europei.
Cossiga amava ripetere che “gli americani sono sempre sul piede di guerra poi, quando l’hanno iniziata, non la sanno concludere”. Ecco, siccome la “guerra fredda è stata davvero una guerra”, sempre per dirla con Francesco, oggi occorrerebbero statisti, ma non ne vedo in giro, che si accorgessero che, per esempio, la Cina e il Giappone stanno ridisegnando militarmente il Pacifico, e questo riguarda noi, e che la “guerra per l’Artico” sarà fondamentale nei prossimi anni, e la Russia l’ha già in parte vinta, e anche questo riguarda noi, il nostro modo di produrre, di dislocare la nostra sicurezza geopolitica e che, magari, sarà proprio la Cina, che non ha mosso un dito durante la lunghissima guerra in Afghanistan, a raccogliere i frutti strategici e geoeconomici della fuga, non precipitosa, dell’Occidente dall’Asia Centrale. E anche questo ci riguarda, e non solo perché abbiamo ancora dei soldati laggiù.
Ecco, io vedrei con estremo favore una struttura di interscambio tra la classe politica e l’intelligence che permettesse, oggi, ai Servizi di non compiere i palesi errori che sono stati talvolta ordinati loro, e alla classe politica di imparare a pensare in termini di intelligence, anche quando manchi l’intelligenza.
Altrimenti, vedo già uno scenario: la Libia si destabilizza completamente e diviene una base ISIS, il “califfato” si muove subito verso le nostre reti energetiche e inizia le azioni contro le nostre coste meridionali, nel frattempo l’odio antisraeliano in Italia monta, e ci priviamo, con i politici che ascoltano solo i sondaggi, dell’unico alleato vero nel Mediterraneo.
Nei Balcani, intanto, le reti qaediste già operanti in Albania, Bosnia, Slovenia si attiveranno per penetrare l’area nordoccidentale del nostro Paese, mentre la pubblica opinione, manipolata a dovere dall’estero, darà la colpa di tutto ai “sionisti” e ripeterà ancora le fanfaluche “mutlietniche”, mentre una parte degli immigrati si troverà organizzata in partiti locali che fungeranno da Terze Colonne dell’Islam detto “radicale”.
Ecco, si dovrà rieducare la classe politica ad un uso intelligente dell’intelligence, per evitare che gli scenari peggiori, puntualmente, avvengano.
Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”