Presto lo storage di elettricità domestico abbinato al fotovoltaico si diffonderà a livello capillare, acuendo la crisi della generazione termoelettrica. Anche a livello di rete nei prossimi anni gli accumuli prenderanno piede. I grandi dell’elettricità, se non vogliono soccombere devono prepararsi e, in realtà, diversi si stanno già attrezzando. Come spesso accade di recente, a lanciare un avvertimento sui rapidi cambiamenti nel mondo dell’energia è una banca d’investimento, preoccupata per gli effetti che gli sconvolgimenti in atto potrebbero avere (e stanno già avendo) sulle grandi utility. Qualche settimana fa avevamo parlato del report di UBS sul trio FV-storage-auto elettrica, oggi sulla nostra scrivania c’è un altro briefing per gli investitori, mittenteHSBC, il più grande istituto di credito d’Europa e uno dei più grandi al mondo.
Nel documento (allegato in basso) si analizzano le varie tecnologie per lo storage e gli impatti che potranno avere sulle attività dei grandi dell’energia convenzionale. Per farlo si guarda al mercato in cui gli accumuli prenderanno piede prima che altrove, quello tedesco. Un sistema elettrico che ha in comune con l’Italia diverse caratteristiche importanti, quali l’alta penetrazione delle rinnovabili e in particolare del fotovoltaico, i prezzi del kWh al dettaglio relativamente salati e una grave crisi del termoelettrico e soprattutto dei cicli combinati a gas.
Secondo il report HSBC, in Germania manca pochissimo al momento della “storage parity”: con il calo dei prezzi delle batterie e del FV in corso, il momento in cui l’energia prodotta con il fotovoltaico sul tetto e accumulata nelle batterie costerà meno di quella accumulata dalla rete, al netto degli incentivi, potrebbe arrivare tra la fine del 2015 e la fine del 2016 (vedi grafico sotto, asse y euro/MWh, asse x anni). Già con i prezzi attuali, grazie all’incentivo sugli accumuli e la feed-in tariff per il FV, i tempi di rientro dell’investimento sono accettabili seppure ancora piuttosto lunghi: sui 10 anni.
Le analisi di mercato stimano che nel Paese si passi, entro il 2018, dai 6mila sistemi di accumulo domestici venduti nel 2013 a oltre 100mila l’anno. “Condividiamo la valutazione che il mercato degli accumuli sia nella stessa fase in cui si trovava quello del fotovoltaico 5-10 anni fa”, si legge nel briefing. Nei prossimi anni, prevede HSBC, praticamente tutti i nuovi impianti fotovoltaici saranno dotati di storage. Chiaro come questo porterà a un calo della domanda che danneggerà ulteriormente le utility.
Ma questa è solo la prima fase: secondo HSBC il termoelettrico dovrà prepararsi a fronteggiare la concorrenza dei sistemi di accumulo anche a un altro livello, quello dello storage su larga scala, che sarà dispiegato in maniera rilevante un po’ più in ritardo rispetto al domestico. Le tecnologie in gioco sono molte e il report le analizza una per una: nel residenziale la soluzione individuata come vincente è quella delle batterie agli ioni di litio, mentre su larga scala, accanto alle tecnologie consolidate come pompaggi idro e aria compressa, HSBC crede molto nel power-to-gas, cioè nell’uso dell’idrogeno come vettore energetico in cui immagazzinare l’energia in eccesso.
Lo storage su larga scala, fa notare HSBC “anche se apparentemente costoso, permette di gestire efficacemente variazioni di domanda e riduce i costi in altri ambiti: minor necessità di investimenti sulla rete, picco di domanda meno accentuato e minor necessità di potenza di back-up”.
Va da sé che il ruolo delle compagnie elettriche tradizionali dovrà essere ripensato, specialmente in un sistema elettrico come quello tedesco, per il quale si prevede un raddoppio della potenza da eolico e FV entro il 2035 e una parallela decentralizzazione della produzione: il 50% della potenza entro 11 anni, si prevede, verrà da impianti sotto i 10 MW, mentre ora siamo già al 30%.
Se non vorranno essere tra i “losers” della transizione in atto, raccomanda HSBC, le utility tradizionali dovranno puntare sempre meno sulla generazione termoelettrica e concentrarsi su altri punti di forza, come il pacchetto clienti e il controllo delle reti di distribuzione. Parola d’ordine è soprattutto “massimizzare la relazione con i propri clienti finali”, per farlo le compagnie elettriche potranno “offrire soluzioni su misura per l’efficienza energetica, partecipare pienamente alla tendenza della ‘localizzazione’ (della produzione e della gestione dell’energia, ndr), creare partnership solide con fornitori di contatori intelligenti, impianti fotovoltaici e di batterie per presentarsi come provider per un servizio tutto compreso”.
Insomma i guadagni delle utility verranno sempre più dal “downstream”, dalla distribuzione, magari integrata a nuovi servizi. Per quel che riguarda la generazione, invece, i guadagni “potrebbero riprendersi gradualmente” con l’introduzione di meccanismi di capacity payment ma “non c’è nessuna prospettiva che possano ritornare a livelli paragonabili all’ultima parte dell’ultima decade”.
Avvertimenti e raccomandazioni che diverse aziende elettriche in realtà stanno già mettendo in pratica, come si vede ad esempio dalle politiche intraprese da RWE e E.ON negli ultimi 12 mesi e descritte nel report. Entrambe si stanno impegnando a fondo, accanto al core business tradizionale, nella generazione distribuita, nelle smart-grid locali, nell’efficienza energetica e nello storage ad esempio offrendo sistemi di accumulo agli utenti domestici e portando avanti ricerca e progetti pilota per lo storage su larga scala.