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La guerra a Ebola può partire dall’Italia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Mi pare di essere tornato indietro. All’inizio degli anni ’80 quando, da “visiting professor” nello Harbour General Hospital di Los Angeles mi sono imbattuto per la prima volta in un paziente con HIV.

In quel decennio, dal nulla, si è diffusa un’epidemia, che sembrava incontrollabile. Le previsioni parlavano di milioni di morti, di curve esponenziali, soprattutto in Africa e nelle popolazioni con comportamenti sessuali a rischio. Invece , no, per fortuna. Una mirabile rete creata dagli infettivologi mondiali, i primi protocolli terapeutici, l’arrivo di farmaci sempre più potenti ha trasformato il problema da “incontrollato/incontrollabile” in problema trattabile.

In netto calo la mortalità, in netto aumento la sopravvivenza, in lenta crescita il pool dei malati. Con curve di diffusione e di mortalità ben diverse dalle previsioni iniziali.
Oggi è la volta dell’ebola. Un virus sottovalutato in partenza, che si sta diffondendo dall’Africa al mondo intero: America, Europa, Est asiatico. Una diffusione non prevista dai tecnici, ma legata all’enorme massa di migranti, alle cattive condizioni igieniche degli africani residenti e di quelli in fuga, alla convivenza prolungata tra persone in viaggio, con incubazione del virus e conseguente contaminazione dei transfughi.

Il contagio si diffonde attraverso la saliva, i liquidi biologici, i contatti ravvicinati. Insomma, in modo tradizionale. Alta, finora, la mortalità: circa il 50% dei circa 3800 pazienti noti. Se fossero tutti noti.
Molteplici i tentativi terapeutici. Tra questi, il farmaco sperimentale ZMAPP, che ha salvato 2 missionari USA colpiti in Liberia (Brantly e Writebol) e che ha superato i test sulle scimmie, salvandone 18 su 18 testate. Ma il farmaco è stato inefficace su un sacerdote spagnolo e su un medico liberiano.
In attesa che i virologi allestiscano un antivirus altamente efficace, un rimedio ci sarebbe. Si tratta dell’emoperfusione, ossia di una tecnica dialitica che – utilizzando filtri adsorbenti specifici – è in grado di abbassare/azzerare la carica tossica. In questo caso, c’è la necessità di un trattamento extracorporeo con l’utilizzo di un emofiltro particolare.

E’ l’Hemopurifier, un sistema ideato dal nefrologo Ronco di Vicenza, sistema brevettato ma non ancora entrato nella pratica clinica. E’ stato solo testato in India, in trial clinici, come possibile trattamento per l’HIV, per l’epatite C e per la depurazione di varie tossine. L’Hemopurifier è stato anche provato, in vitro, per il virus dell’Ebola. Ma cos’è l’Hemopurifier?

In sintesi, si tratta di rene artificiale in miniatura contenente un filtro in grado di assorbire le particelle virali.Il filtro è costruito con materiale americano ma l’involucro e le fibre sono stati messi a punto da un’azienda italiana di Mirandola (MO). Il sangue prelevato dal paziente passa nel filtro, zeppo di sorbenti che catturano i virus, riducendone la concentrazione corporea e preservando cellule ed organi da un danno irreversibile. Nei fatti, il trattamento – che dura 2 ore – consente la ripresa delle difese corporee contro il virus.

E’ in atto, in questi giorni, una triangolazione clinica tra Vicenza (Ronco), Francoforte (Koch) e San Diego (Kenley) per salvare un medico ugandese, colpito dall’Ebola e ricoverato a Francoforte, usando l’Hemopurifier.
Il filtro ideato da Ronco, quindi, viene testato su un malato “insensibile all Zmapp”, come trattamento estremo. Se la risposta fosse positiva, si aprirebbe un altro fronte contro l’Ebola. Grazie a Ronco, alla nefrologia vicentina ed a tutti i nefrologi italiani, che per primi hanno percorso le strade dell’emoperfusione, come tecnica cronica utile per i pazienti cronici non nefropatici. Cardiopatici, soggetti con insufficienza epatica, pazienti intossicati o con danno multiorgano.

Perché la nefrologia italiana è all’avanguardia, nel mondo, da decenni. E Mirandola è la capitale mondiale dei trattamenti emodialitici extracorporei.
Ma la Lorenzin non lo sa. Ma Renzi non lo sa: se lo sapesse sarebbe andato, nei suoi tour industriali, anche a Mirandola (Mo) , il top mondiale della tecnologia dialitica. Tutto, per merito della genialità di un farmacista mirandolese: il dottor Veronesi. Ma, questa, è un’altra storia.



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