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Gli errori di Susanna Camusso su lavoro e articolo 18

Colpita nel vivo dai rimbrotti di Pier Matteo Renzi Tambroni (“perché il sindacato non ha fatto nulla per i precari”), Susanna Lovely Camusso ha ammesso le responsabilità della sua parte, ma subito dopo ha rovesciato la frittata incolpando il Parlamento (e quindi anche i Governi) di aver approvato le leggi sul c.d. precariato.

Conoscendo la leader della Cgil come persona di esperienza, cultura ed intelligenza, dobbiamo confessare che questa risposta non ce l’aspettavamo. Se è sciocco, infatti, pretendere dal sindacato che nulla cambi nel modo di organizzare il lavoro e di lavorare quando tutto il resto è mutato profondamente (nell’ambito della globalizzazione dell’economia), è altrettanto sciocco (e un po’ disonesto) attribuire alle leggi (che, come tutti gli atti umani, possono essere sempre sbagliate e perfettibili) di aver creato loro quelle realtà che invece hanno cercato solo di regolare. I rapporti atipici, protagonisti della flessibilità del lavoro, non sono in vigore solo in Italia, ma in tutta Europa e più in generale nel mondo sviluppato; e rappresentano il tentativo di dare risposte concrete a situazioni lavorative che non più riconducibili a quel contratto a tempo indeterminato che era stato al centro del sistema tolemaico del lavoro, intessuto di mercati protetti, tariffe doganali, svalutazioni competitive, forte presenza deficitaria dello Stato nell’economia… e libertà di licenziamento.

Non era un caso che l’articolo 2118 del codice civile – quello che disciplina il licenziamento ad nutum, sottoposto soltanto l’obbligo del preavviso nei termini previsti – si applicasse segnatamente al contratto di lavoro a tempo indeterminato che non creava problemi di alcun tipo proprio perché il recesso era libero. Davvero, Susanna Camusso pensa che quei rapporti di lavoro flessibili che hanno invaso ovunque la legislazione giuslavoristica (persino nei Paesi in cui è soltanto risarcitoria la tutela contro il licenziamento ingiustificato) siano il frutto di una ventata liberista, che, alla stregua di un virus maligno, ha soggiogato i Parlamenti dei più importanti Paesi industrializzati, forti di tradizioni di estesa protezione sociale e di sistemi di welfare pesanti e meticolosi ? Crede davvero che sarebbe bastato non varare, nel loro insieme, quelle leggi bastarde e vivere felici e stabili, assistiti dal sindacato, dall’articolo 18 e da quant’altro caratterizzava il nostro piccolo mondo antico ? Se è così Camusso – mutatis mutandis – ricorda Matteo Salvini, colui che pretenderebbe di fermare l’immigrazione bloccando l’operazione Mare nostrum, senza tener conto che siamo sulla linea di frontiera tra: le guerre, la fame, le malattie, la disperazione, da un lato; il benessere, magari sempre più opaco ed apparente, dall’altro. Si potrebbero – paradossalmente – mandare le cannoniere nel Mediterraneo a bombardare i barconi della speranza; ma ciò non impedirà – il principio dei vasi comunicanti è valido anche nei grandi processi demografici – che delle popolazioni composte prevalentemente da giovani disperati trasmigrino laddove vivono, sempre più, vecchi stanchi, perché sono le braccia giovani che fanno ‘’girare le macchine’’ nelle officine e nei servizi.

Tornando a Susanna Camusso le ricordiamo quanto scriveva Marco Biagi nel Libro Bianco del 2001: “I mutamenti che intervengono nell’organizzazione del lavoro e la crescente spinta verso una valorizzazione delle capacità dell’individuo stanno trasformando il rapporto di lavoro. Ciò induce a sperimentate nuove forme di regolazione, rendendo possibili assetti regolatori effettivamente conformi agli interessi del singolo lavoratore ed alle specifiche aspettative in lui riposte dal datore di lavoro, nel contesto d’un adeguato controllo sociale’’. Ma invece di riflettere sul venir meno di ‘’un adeguato controllo sociale’’, la sinistra non rinuncia alle soluzioni illusorie, tutte incentrate sul contrasto delle ‘’norme maledette’’ della più recente legislazione del lavoro. Dimenticando, però, che sono stati proprio quei provvedimenti a consentire – prima della crisi e in corrispondenza di incrementi modesti del Pil – otto anni di crescita ininterrotta dell’occupazione, i cui esiti non sono stati a lungo cancellati, nonostante i salassi degli ultimi tempi. Si considerino, infatti, i seguenti dati che prendono in considerazione l’arco temporale che va dal 1997 (l’anno della riforma Treu), che finisce nel 2009 (l’anno nero della crisi) e che assumono il 2007 come anno del picco per quanto riguarda l’occupazione. Nel 1997, il tasso di impiego dei maschi era pari al 71,%; nel 2007 era salito al 75,8%, mentre nel 2009 era sceso al 73,8%. Per quanto riguarda le femmine si è trattato rispettivamente del 39,2%, del 49,9% e del 49,7%. In sostanza, la crisi non ha annullato tutti gli avanzamenti conseguiti. Le medesime considerazioni valgono, all’opposto, se osserviamo il tasso di disoccupazione.

Per quanto riguarda i lavoratori la scansione è la seguente: 8,85 nel 1997, 4,6% nel 2007 (il tasso è dimezzato), 6,5% nel 2009. Con riferimento alle lavoratrici si è passati dal 15,5% del 1997 al 7,6% del 2007 per risalire nel 2009 al 9%. I dati più recenti, purtroppo, li conosciamo: siamo oltre il 12%. Nessuno si illuda, però. Se e quando ripartirà l’economia, anche l’occupazione potrà riprendere forza se le aziende saranno in grado di contare su rapporti di lavoro flessibili. Altrimenti, le norme rigide, in entrata come in uscita, non diventeranno solo un ostacolo alle nuove assunzioni, ma anche al consolidarsi dello sviluppo, perché i datori – anche a costo di rinunciare a commesse – non allargheranno in maniera stabile gli organici, fino a quando non avranno qualche certezza in più sulla tenuta della crescita. Ecco perché il decreto Poletti sul tempo determinato è un provvedimento azzeccato. Quanto al contratto a tutele crescenti, staremo a vedere.



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