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Che cosa non mi convince della manovra di Renzi

Pubblichiamo il commento di Paolo Savona uscito oggi sul quotidiano L’Unione Sarda

L’instabilità della Legge di stabilità è sotto gli occhi di tutti. Protestano le Regioni e i Comuni, si lamentano i lavoratori e gli imprenditori, soprattutto e giustamente quelli operanti nell’edilizia in grave crisi, e chiede chiarimenti (è un palese eufemismo) la Commissione Europea. Il Presidente Renzi reagisce dicendo agli enti locali che devono risparmiare, elargendo piccole concessioni ai secondi e affermando che l’Europa deve portare al centro della sua politica la crescita.

Come sovente accade il termine usato, quello della stabilità, appare fuori luogo sia all’interno che all’esterno, come accertato dal più noto Patto di Amsterdam, detto “di stabilità e crescita”, che non ha dato né l’una, né l’altra; ma ufficialmente la maggioranza dei paesi europei, Germania in testa e BCE al seguito, continua a sostenere che è in condizione di darci entrambe, come dimostra la crescita del Portogallo e della Grecia, che hanno fatto meglio le riforme, restando indifferenti che la disoccupazione è pari a un quarto della popolazione abile al lavoro. La Sardegna è in preoccupante analoga situazione, per giunta senza sintomi di ripresa della crescita, anzi…. All’atto del suo insediamento, il neo Commissario europeo Junker ha rinnovato la promessa che entro fine anno partirà la sua proposta di realizzare un Piano di investimenti di 300 mld di euro. Lo attendiamo al varco della realizzazione. I Trattati europei mostrano la loro inadeguatezza nelle istituzioni e nella politica alle quali ha dato vita, ma si mantengono in vita dispensando speranze che il futuro migliori e timori per ciò che verrebbe dopo se li abbandonassimo. Poiché mancano poco più di due mesi alla fine dell’anno, è giusto far credito a Junker, ma anche chiedergli di preparare a dimettersi se non mantiene la parola.

Tornando alla Legge di stabilità italiana va detto che essa è giusta se la pubblica opinione continua a chiedere, come nella seconda fase della Prima Repubblica, il pesce e non la canna da pesca, ossia assistenza. E’ sbagliata se invece la pubblica opinione chiede investimenti che creino occupazione. Dalla precedente esperienza degli 80 euro dati ai lavoratori con redditi modesti abbiamo ricavato l’informazione che la spinta ricevuta dalla domanda è inferiore alla cifra spesa di circa 9 mld di euro (se le stime sono corrette) e l’effetto occupazionale nullo. La detassazione dell’Irap alle piccole imprese e piccole altre concessioni, del costo di circa 5-6 mld (se i calcoli preventivi sono corretti), decisioni tutte giustificabili secondo un’ottica individuale e di gruppo, dovrebbe avere lo stesso effetto delle agevolazioni precedenti, ossia spingere meno della spesa preventivata. Se invece queste somme fossero state impiegate per avviare investimenti in costruzioni, il motore che regge l’economia con le esportazioni, l’effetto di moltiplicazione del reddito sarebbe stato di oltre 2 volte la spesa effettuata e sull’occupazione di circa 1,3 volte. Non c’è dubbio che nel secondo caso il moltiplicatore dei voti sarebbe molto minore, ma è appunto ciò che il c.d. “popolo sovrano” deve chiedere o non chiedere ai governanti. Se non lo fa, Governo e Parlamento continueranno a offrire pesci e non canne da pesca. Junker promette di finanziare nuove canne da pesca, ma dietro l’offerta si cela un trabocchetto per l’Italia e, in particolare, il Mezzogiorno, che più ne avrebbe bisogno: non abbiamo progetti esecutivi pronti, come ci ha detto a Napoli il vice Presidente della BEI, l’italiano Scannapieco, mentre i soldi ci sarebbero.

La Sardegna, ad esempio, se avesse un progetto per l’Alta velocità ferroviaria tra Porto Torres e Villasimius, con progetti di raccordo con altri importanti centri turistici e commerciali, potrebbe creare una zona di attrazione occupazionale per l’intera Isola, che sosterrebbe nell’immediato reddito e occupazione, aprendo una via di crescita per il futuro da molti punti di vista. La Regione è in ritardo, ma potrebbe colmarlo chiedendo alle Università sarde di mobilitare 10 tesi di laurea in questa direzione. Sono certo che i giovani ingegneri e esperti di finanza si butterebbero a capofitto nell’opera, mentre la Giunta si darebbe da fare a Bruxelles per entrare nella lista delle opere da finanziare scommettendo di farcela a presentare il progetto.

Come consuetudine, questa mia darà avvio alle obiezioni che non si può fare, invece di stimolare all’azione. Pronti a smentirmi?



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