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Tutti i metodi alla tedesca sui crediti bancari deteriorati

Non c’è dubbio che, nell’ambito dell’attuale scenario, uno dei circoli viziosi più pericolosi è quello che si è instaurato oggi tra banche ed imprese ( vedi “quei circoli viziosi che ci impediscono di uscire dalla crisi” MF del 15/5/2014 pg.20). Qui, i bilanci delle imprese, devastati dalla crisi, generano una massa di credito deteriorato che le banche sono chiamate a fronteggiare con accantonamenti e nuovo patrimonio.

Il risultato ultimo di questa spirale perversa è che si drenano risorse destinabili alle aziende stesse rallentando così l’uscita dalla crisi. Rimane da capire, a questo punto, perché non si riesce a spezzare questo circolo vizioso e qual è il fattore che continua ad ostacolare la ripresa degli impieghi bancari verso le nostre aziende. La risposta può essere condensata in pochi dati: oltre 300 mld di credito deteriorato (in trend crescente) di cui, al luglio 2014, 172 mld di sofferenze lorde (+23% su base annua).

Il primo aspetto su cui è necessario soffermarsi è che questo trend non deriva affatto da nuove operazioni di cattiva qualità, ma piuttosto dallo stock di credito problematico già esistente che continua a trasformarsi in credito deteriorato. In effetti, a ben vedere, tutta l’attenzione del sistema bancario e della vigilanza si è sino ad oggi correttamente concentrata sulla necessità assoluta di non imbarcare “nuovo deteriorato”.

Al contrario, non si è ritenuto urgente intervenire sul fardello di credito deteriorato cumulatosi in 6 anni di crisi nella convinzione che questo, non più alimentato, si sarebbe comunque assorbito nel tempo grazie ad un progressivo miglioramento dello scenario economico. Oggi, probabilmente, essendo ormai chiaro che non possiamo contare su una rapida uscita dalla crisi, si impone un coraggioso cambio di strategia..

Da notare, oltretutto, che la problematica descritta assume da noi connotazioni particolarmente delicate in quanto storicamente gli impieghi delle nostre banche sono maggiormente rivolti alle aziende rispetto a quelli delle banche anglosassoni che privilegiano la finanza. Di conseguenza un rallentamento di questo supporto, connesso alla mole di credito deteriorato, ha generato un effetto rebound che ha colpito le nostre PMI più duramente rispetto ai competitor europei da sempre abituati a far poco affidamento sul credito bancario.

E allora, forse, in questo scenario, la creazione di un soggetto pubblico che non chiamerei più Bad Bank, ma “Opportunity Bank” (di seguito OB) in grado di assorbire il fardello del deteriorato e liberare risorse per le aziende, andrebbe preso in seria considerazione. Anche perché, forse, i tempi sono più maturi rispetto al passato. Qualche anno fa, la sola idea di creare una “OB” pubblica sarebbe stata considerata un intervento di salvataggio da sottoporre a pesanti dictat o all’intervento della temuta Troika. Oggi, dopo 6 anni di crisi, questo progetto potrebbe invece esser visto come parte integrante della nuova impalcatura bancaria europea in stretta connessione con la nuova normativa di vigilanza, con l’Asset Quality Review, con la Vigilanza unica affidata alla BCE e con gli interventi innovativi di quest’ultima volti a garantire liquidità al sistema a sostegno delle aziende (TLTRO).

Nell’ambito di questo meccanismo, ad esempio, la risonanza magnetica effettuata dalla BCE sulla reale consistenza del credito deteriorato in capo alle principali banche potrebbe limitare fortemente quell’incertezza che costituisce uno dei principali ostacoli alla cessione dei crediti ad un soggetto terzo (ad esempio alla Opportunity Bank). Parallelamente la nuova normativa di vigilanza e l’attenta sorveglianza della BCE dovrebbero essere, da una parte, in grado di evitare che lo stock di deteriorato ceduto alla “OB” si rigeneri come l’Araba Fenice a causa di nuovi impieghi di cattiva qualità. Dall’altra, spetterebbe alla BCE stessa ed alle banche centrali nazionali attivare meccanismi di monitoraggio per assicurarsi che gli istituti, liberati dal fardello del credito deteriorato, vadano davvero a sostenere, ovviamente nel rispetto di una sana politica creditizia, le imprese.

Poi, per quanto riguarda la forma tecnica da far assumere alla “OB” si potrà ragionare. E, comunque, se proprio scarseggiassero le idee su come farla funzionare, basterebbe chiedere consiglio ai tedeschi che da anni sistemano senza clamore, attraverso l’agenzia federale FMSA, il fondo SOFFIN e varie bad bank pubbliche, i bilanci di Sparkassen e Landesbanken.
Per inciso, chissà se questo c’entra con la decisione di alcune banche tedesche di affrontare gli incontri con la BCE portandosi dietro i propri avvocati.

Andrea Ferretti, docente al Corso di Gestione delle Imprese familiari-Università di Verona.

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