Per l’Islam, la religione non è fatto individuale, ma collettivo. I rapporti fra religione e politica ne sono fortemente influenzati, come lo fu la contrapposizione fra Cattolicesimo e Protestantesimo prima delle guerre di religione.
Esistono diversi “modelli di Islam”, derivanti da diverse interpretazioni delle scritture sacre. Sugli assetti politici sia interni che esterni influisce il “modello” che ha la prevalenza. Esso è diverso da regione a regione e da Stato a Stato, a seconda della traiettoria storica di ciascuno. Attualmente, i vari Islam si confrontano in modo diverso, spesso indecifrabile. Ogni modello è sostenuto economicamente, politicamente e con forniture di armi e di miliziani da sponsor esterni. La solidarietà religiosa ha molta importanza. La competizione confessionale, con la sua grande capacità di mobilitazione delle identità e delle masse si sovrappone e, talvolta maschera, quella geopolitica. La dinamica è stata accelerata dalla cosiddetta “primavera islamica”, che ha fatto emergere la religiosità prima occultata nel profondo delle varie società.
Nel periodo pre-islamico dominavano nel mondo arabo i clan e le tribù, che si federavano fra loro soprattutto per motivi di difesa. Alla comunità di sangue delle tribù, Maometto sovrappose, senza però sostituirla, la comunità di fede. In essa, ordine giuridico e ordine religioso costituiscono facce della stessa medaglia, come avveniva nel grande Califfato Abbaside, prima della distruzione di Baghdad da parte dei Mongoli. Sulle tribù non dominavano gli Stati, ma gli imperi e i vari califfati, in prevalenza sunniti, ma anche sciiti, come quello Fatimide in Egitto. Il colonialismo prima e la decolonizzazione poi hanno introdotto gli Stati. Con il loro indebolimento, con l’attenuazione dei nazionalismi post-coloniali e con il risorgere dell’Islam politico, sono riemersi le tribù, i clan, le etnie. Con l’urbanizzazione si sono aggiunti i potentati locali. La frammentazione degli Stati costituisce oggi il paradigma dominante. Si sono liberate forze difficili, se non impossibili da contenere.
La situazione è caratterizzata da notevole complessità e confusione. E’ presente anche il mito dell’unità dell’ummah, retta da un Califfo o da un Madhi, che riporterebbe l’Islam all’antico splendore e grandezza, e che vendicherebbe i torti subiti dalla storia, cioè dall’Occidente. Nella tradizione islamica il colore nero è quello della vendetta. Non per nulla è quello delle bandiere dell’ISIS.
Si possono distinguere quattro modelli di Islam: i) il “modello saudita”, ispirato dal rigorismo wahhabita, componente più radicale del salafismo sorto già nei primi anni dell’Islam, subito dopo la morte di Maometto. La sua ideologia è diffusa nelle dinastie del Golfo ed è all’origine di varie forme di radicalismo islamico, modulate in modo diverso: dal salafita partito Nour in Egitto ai vari gruppi jihadisti, da al-Qaeda all’ISIS, con le loro ambizioni pan-islamiche; ii) un modello iraniano, derivato dal pan-islamismo della rivoluzione khomeinista, appoggiato dalla Fratellanza Musulmana. Esso pone al centro della politica l’autorità religiosa. L’ordinamento dello Stato prevede – legalmente o di fatto – una doppia gerarchia di potere, quello politico e quello religioso; iii) un modello turco di democrazia islamica, proprio dell’AKP, ripreso attualmente solo dall’Ennhada in Tunisia. Ankara e gran parte dell’Occidente speravano che esso si affermasse a seguito della “primavera araba”. Le speranze sono rimaste, ma sono sempre più irrealistiche soprattutto dopo il golpe in Egitto del luglio 2003. Esso ha espulso dalla politica del principale paese arabo la Fratellanza Musulmana, un po’ affrettatamente definita moderata non solo dalla cerchia dei consiglieri di Obama, ma da gran parte delle opinioni pubbliche occidentali. Sostenuto in Libia dal Qatar e dalla Turchia, tale modello ispira l’“Operazione Alba” delle milizie islamiste (la più importante è quella di Misurata). Esse controllano Tripoli,dopo aver cacciato quelle berbere più secolari di Zentan. A Bengasi i seguaci del generale Khalifa Hafter, appoggiato dagli Emirati arabi e dall’Egitto contendono agli islamisti il controllo sia delle province orientali della Cirenaica, sia di quelle a ovest di Tripoli; iv) un modello di repubblica islamica autoritaria, quali quello esistente in Algeria e Egitto. Pur proclamandosi Stati islamici, essi hanno spiccate tendenze nazionaliste. Una variante di tale modello domina nelle monarchie dal Golfo, in Giordania e al Marocco.
Il “risveglio arabo” del 2011 (che l’Iran ha inteso come “risveglio islamico”, in linea con gli assunti della rivoluzione khomeinista), è stato interpretato da tutti, in particolare dalla Turchia, dall’Iran e, da tutte le forze originate o collegate in qualche modo alla Fratellanza Musulmana, come un’opportunità per aumentare, con le elezioni, il loro potere politico. E’ stato invece considerato un pericolo dai regimi autoritari, a partire dall’Arabia Saudita, che hanno dato luogo a una contro-rivoluzione conservatrice.
La guerra del 2003 aveva eliminato con Saddam Hussein la potenza irachena, principale fattore di equilibrio nel Golfo contro l’egemonia di Teheran. Si era formata così la “mezzaluna sciita” , dagli Hazara afghani agli Hezbollah libanesi La sconsiderata politica di al-Maliki in Iraq, di Morsi in Egitto e di Assad in Siria hanno consentito al fronte conservatore sunnita di passare al contrattacco, approfittando delle sue enormi ricchezze. Hanno però provocato prima in Iraq poi in Siria il sorgere di forze radicali, che spaziano dal Fronte al-Nusra, espressione dello jihadismo di tipo tradizionale, collegato ad al-Qaeda, all’ISIS. Dopo gli straordinari successi conseguiti in Iraq e in Siria, il suo capo – Abu Badr al-Baghdadi – ha deciso di dar vita a un Califfato transfrontaliero nelle zone controllate dalle sue milizie, autoproclamandosi Califfo. Ha l’ambizione di aggregare attorno a sé tutti i “veri musulmani”. Essi devono riacquistare l’antica purezza con l’eliminazione o la conversione degli “apostati”, cioè degli sciiti, considerati eretici, e l’uccisione o l’espulsione degli appartenenti alle altre religioni che non si convertano all’Islam e che non accettino l’interpretazione wahhabita delle scritture sacre. Si tratta di una forzature delle realtà. Le frontiere fra gli Stati non possono essere cancellate dopo un centinaio di anni. Lo dimostra il fatto che il Libano, una delle creature più artificiali del periodo coloniale, è sopravvissuto, malgradi la terribile guerra civile che ha conosciuto fra il 1975 e il 1990. A scomparire sarà il Califfato. Con ogni probabilità, gli Stati sopravviveranno.