Che cosa resta della scaramuccia fra Jean-Claude Juncker e Matteo Renzi? Resta una Legge di stabilità che farà passare la pressione fiscale dal 43,3 per cento di quest’anno al 46,6 per cento del 2016. Magari anche per colpa dei solerti burocrati di Bruxelles parzialmente frenati dai politici alla Juncker, ha fatto quasi capire il nuovo presidente della Commissione europea. I presidenti degli esecutivi Ue cambiano, ma le ottusità restano. Peccato.
Anche per le letterine di Bruxelles, e le limature accettate da Roma dopo tante parole celoduristiche di Palazzo Chigi a difesa della prima versione della manovra, la Legge di stabilità non sarà affatto espansiva, come assicurava il governo Renzi e come ha invece certificato l’Istat. Grazie Europa.
Non solo. Da Bruxelles e dai circoli e circoletti che animano pure gli editoriali dell’edizione europea del Wall Street Journal si nota un certo godimento nel rappresentare l’Italia come un Paese ad alta tossicità (per avere un sistema bancario che nel complesso è meno tossico finanziariamente di chi ha fatto divampare la crisi finanziaria e non meno relazionale del tanto sbandierato sistema tedesco con le banche locali che sfuggiranno alla Vigilanza Bce) e sempre oggetto di pagelline pessime su dati macroeconomici e di finanza pubblica. Eppure l’Italia rispetta il tetto del 3 per cento del rapporto deficit-pil a differenza ad esempio della maestrina francese, non ha avuto bisogno di soldi statali ed europei per sistemare le banche come la Spagna, e quanto al debito pubblico – come ricorda oggi l’economista Marco Fortis sul Messaggero – “nel 2016 saranno ben setti i Paesi dell’eurozona con un debito pubblico più alto della allora già vituperata Italia pre-crisi, a cui vanno aggiunti Stati Uniti e Giappone”.
Eppure i Tafazzi imperversano.