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Perché la sinistra è svenuta dopo la disfatta di Obama

Nelle elezioni di medio termine il presidente Barack Obama e, per causa sua, i Democratici, sono stati clamorosamente sconfitti da un partito, il GOP (è questo l’acronimo dei Repubblicani), che soltanto due anni fa, alle elezioni presidenziali, aveva presentato un candidato di cui nessuno ricorda il nome e cercava di svincolarsi dall’abbraccio mortale dei Circoli del ‘’Tea Party’’ (un prototipo di leghisti d’Oltreoceano).

L’esito era atteso, ma non nelle dimensioni verificatesi. Non sarà chi scrive – che non conosce l’America nemmeno da turista – a cimentarsi con analisi del voto e a cercare spiegazioni di un così repentino cambiamento dell’elettorato yankee. Interessa, invece, un aspetto più a portata di mano.

Immaginiamo, infatti, che ‘’negli antri muscosi e nei fori cadenti’’ della sinistra europea ci si interroghi sulla sconfitta – che non ammette repliche – di un leader, non più osannato come la Vergine di Lourdes nella fase della ‘’prise du pouvoir’’ nel 2008, ma comunque ritenuto, tuttora, un punto di riferimento sul piano politico e, soprattutto, delle politiche.

Ovviamente il cotè più bizzarro e fantasioso della gauche una risposta la ha: ‘’Obama ha tradito le aspettative. Non ha realizzato quel ‘change’’ che aveva promesso. E gli elettori lo hanno punito’’. ‘’Ma come?’’, verrebbe da chiedere loro: ‘’Hanno aspettato ben 6 anni prima di dichiararsi delusi attraverso il voto?’’.

Ma non ha senso perdere tempo con queste posizioni da avanspettacolo della politica. Anche a sinistra, infatti, ci sono persone che, tra le orecchie, hanno ancora la testa: persone che sanno bene quanto sia difficile governare anche per il leader del mondo libero (come si diceva un tempo) nel bel mezzo di una ‘’tempesta perfetta’’ scoppiata negli Usa (per responsabilità dei predecessori di Obama), diffusasi a macchia d’olio in Europa e che ha più volte mutato segno e sembianze, senza ancora aver visto la fine.

Sono costoro i più affranti, perché la sconfitta di Barack Obama suona come se fosse la loro. Infatti, il presidente perde avendo attuato e portato avanti quelle scelte che essi consideravano e ritengono ancora utili ed opportune per uscire dalla crisi.

Obama ha incoraggiato una politica monetaria espansiva senza curarsi dell’inflazione e del deficit del bilancio federale (quante volte abbiamo sentito chiedere che la Bce agisse come la Fed!); ha adottato misure di deficit spending; ha nazionalizzato – nel santuario del capitalismo – banche ed imprese; ha adottato politiche e adoperato risorse pubbliche in favore della crescita. Ha caldeggiato la green economy, attuato la riforma sanitaria, non già istituendo un Servizio sanitario all’europea, ma manipolando le prestazioni delle polizze assicurative. Sul piano dei diritti civili ha cavalcato tutte le mode del tempo: dalle nozze tra omosessuali alle svariate tipologie di fecondazione assistita. All’interno, ha aperto alla regolarizzazione degli immigrati clandestini.

La sua politica internazionale, poi, è sembrata uscire dal manuale del perfetto democratico (il medesimo testo su cui si è preparata Federica Mogherini?): è fuggito a gambe levate dall’Iraq (la guerra voluta da Bush che la sinistra europea non ha mai amato, fino a rimproverare l’impegno di Tony Blair a fianco degli Usa); ha appoggiato i movimenti della c.d. primavera araba (salvo poi dover ricorrere al colpo di Stato dell’esercito egiziano per garantire un minimo di stabilità in quell’area); ha ritirato l’appoggio incondizionato ad Israele che era una delle costanti fisse dei governi a stelle e strisce. Se non lo avessero fermato avrebbe chiesto agli europei di bombardare anche Assad.

Ma ciò che ha mandato in solluchero le sinistre europee è stata la fermezza con cui ha imposto delle pesanti sanzioni alla Russia di Vladimir Putin, a cui i socialisti del Vecchio Continente rimproverano di non essere, come Gorbaciov, un comunista dal volto umano e, per di più, di restare, nonostante tutto, amico di Silvio Berlusconi.

Pur di fare un dispetto allo zar del Cremlino, la sinistra europea ha accettato, senza protestare, i danni economici che derivano e deriveranno dalle sanzioni. In buona sostanza, a sinistra non riescono a capacitarsi e a rassegnarsi. Insomma, alla Casa Bianca c’è un presidente che adotta le politiche che loro suggeriscono, in Europa, in chiave anti-Merkel: interventista e dirigista in economia; poco propenso a tener ordine nei saldi; inflazionista; aperturista in materia di diritti civili e di immigrazione; filo-arabo e critico con Israele; duro con la Russia post-comunista (che agli occhi della sinistra ha il grave demerito di essere tale).

Che cosa pretendono di più gli americani? Per completare il quadro mancava solo che alla Casa Bianca arrivasse il Jobs act Poletti 2.0. tradotto in inglese da Pietro Ichino. Certo, per i loro gusti, Obama si è fatto vedere qualche volta di troppo con Sergio Marchionne. Ma nessuno è perfetto.

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