Diffusa incredulità ha suscitato nell’opinione pubblica regionale il contenuto dello studio citato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco secondo cui la Puglia avrebbe perduto nell’ultimo trentennio il 16% del suo Pil – equivalente ad uno 0,5% all’anno – e soprattutto molti milioni di investimenti esteri a causa della criminalità.
Premesso che sarebbe utile conoscere in base a quali parametri scientifici è stato elaborato il citato indicatore Doing Business che fornirebbe una sintesi della qualità dell’ambiente istituzionale, è doveroso chiedere agli estensori dello studio di indicare almeno un caso di investimento estero, respinto o bloccato a causa della malavita. Se ripercorriamo infatti gli investimenti in Puglia negli ultimi 32 anni, da quelli per la costruzione della centrale dell’Enel a Cerano avviata nell’82 sino ai giorni nostri, è facile ricordare che sono state molte decine – fra i maggiori gruppi industriali, della grande distribuzione e del turismo italiani ed esteri – ad aver realizzato una mole di investimenti sul nostro territorio – da “pratoverde” o acquistando e ammodernando impianti già esistenti – che non ha precedenti nella sua storia economica: dall’Edison alla Barilla, dalla Getrag alla Bosch, dall’Alenia Aermacchi alla GeOil&Gas, dalla Eds (ora Hp) all’Evergreen, dalla Vestas alla Sanofi, dalla Granarolo alla Princes, dalla Cnh alla Smei, dalla Transcom alla Comdata, dalla LyondellBasell all’Enipower, dalla Porsche Engineering a Sorgenia, dalla Gas natural alla Sab Miller-Birra Peroni, dai grandi investimenti nell’eolico ai 10 ipermercati della Coop Estense e ai quelli di Auchan, dai villaggi turistici acquistati e realizzati sul Gargano al vastissimo complesso di Nuova Yardinia costruito a Castellaneta Marina, dalla catena Hilton con gli alberghi di Bari e Lecce alla Mercure con quelli affiliati di Bari e Taranto, dal Parco Miragica a Molfetta alla Leclerc Conad a Cavallino (Le). E dal 2009 ad oggi i 43 contratti di programma cofinanziati dalla Regione – di cui 16 con gruppi esteri – hanno confermato ancora una volta l’appeal attrattivo della Puglia. Allora, pur senza citare i massicci interventi di 4,2 miliardi di euro all’Ilva dal 1996 al 2012, si può allora attendibilmente parlare di mancati investimenti esteri a causa della criminalità organizzata?
Altre invece sono state e sono tuttora le cause del blocco di certi interventi, dal rigassificatore di Brindisi a quelli del progetto Tempa rossa, ma è inutile tornare su di esse.
Non occorrono accurati studi di sociologia criminale per sapere che in Puglia la malavita organizzata non ha raggiunto, almeno sino ad oggi, lo spessore operativo e l’attrezzatura necessaria per impedire o condizionare grandi investimenti, dedicandosi invece a traffici di droga, estorsioni, usura, caporalato nelle campagne, movimento di rifiuti, scommesse clandestine, riciclaggio in attività ‘pulite’: una fenomenologia criminosa, intendiamoci, da contrastare senza quartiere con la mobilitazione permanente di Istituzioni, Magistratura, forze dell’ordine, imprese, sindacati, clero e società civile, ma da conoscere nei suoi veri caratteri. Si faccia attenzione pertanto a non creare un’immagine della Puglia che non risponde alla realtà.