Pubblichiamo un articolo apparso sul sito di Qual Energia
È una tappa storica quella raggiunta con l’annuncio di un accordo sul clima tra i due maggiori emettitori mondiali, Cina e Stati Uniti. Il gigante asiatico, primo emettitore mondiale di gas serra, ma responsabile solo del 7,6% delle emissioni in una prospettiva storica (contro il 30% degli Usa), per la prima volta accetta di darsi un obiettivo di riduzione della CO2 in termini assoluti, mentre finora si era impegnata solamente a ridurre il tasso di crescita delle emissioni. Gli Stati Uniti da parte loro alzano l’asticella rispetto all’impegno preso a Copenhagen: non si limiteranno a ridurre le emissioni del 17% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020, ma punteranno a tagliarle del 26-28% al 2025.
Citando il passaggio chiave del joint statement delle due superpotenze: “Gli Stati Uniti intendono ottenere per la loro economia un obiettivo di riduzione delle emissioni del 26-28% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025. La Cina intende raggiungere il picco delle emissioni di CO2 attorno al 2030, e fare il maggior sforzo possibile affinché questo picco venga raggiunto prima e intende aumentare la quota di energia primaria da fonti non fossili fino a circa il 20% entro il 2030. Entrambe le parti intendono continuare a lavorare per aumentare l’ambizione nel tempo.”
Usa e Cina, si aggiunge “sperano che, annunciando questi obiettivi, ora possano dare una spinta propulsiva ai negoziati mondiali sul clima e ispirare altre nazioni ad unirsi il più presto possibile con azioni ambiziose, preferibilmente entro il primo quarto del 2015”.
Insomma, un notevole passo avanti che fa ben sperare per i negoziati di Parigi 2015: da tempo su queste pagine sosteniamo con cauto ottimismo che lo sblocco delle politiche mondiali sul clima non può che passare attraverso l’intesa tra i due giganti.
Non rendono meno significativo l’accordo nemmeno gli aspetti di vaghezza contenuti nella dichiarazione congiunta di Barack Obama e Xi Jingping. Usa e Cina, si legge, “faranno i migliori sforzi” per ottenere gli obiettivi illustrati, obiettivi che “intendono” raggiungere, mentre non si parla mai di impegni. Termini studiati probabilmente per aggirare il Senato americano ora in mano ai Repubblicani: se l’accordo avesse avuto la forma di un vero e proprio trattato internazionale, anziché di una dichiarazione di intenti congiunta, infatti, avrebbe dovuto essere approvato da almeno due terzi dell’assemblea Usa.
Secondo le dichiarazioni di Obama l’obiettivo annunciato per gli Usa è “ambizioso ma raggiungibile” e implica un raddoppio della velocità a cui si stanno riducendo le emissioni. Come detto, il Congresso ora sotto il controllo repubblicano si opporrà ai nuovi obiettivi che però, secondo l’amministrazione Usa sarebbero raggiungibili già con la legislazione esistente.
La Cina, dal canto suo, secondo una stima della Casa Bianca, dovrà installare 800-1000 GW di nuova potenza da rinnovabili e nucleare, più di tutte le centrali a carbone esistenti, per arrivare all’obiettivo annunciato, di circa il 20% di no-carbon sul totale dell’energia primaria.
Il target cinese in realtà non è molto elevato, dato che Pechino già puntava ad arrivare al 15% di energia primaria carbon-free entro il 2020. Ci si limita ad alzare l’asticella di 5 punti percentuali in 10 anni: non molto considerando il trend di decarbonizzazione che il gigante asiatico sta seguendo. Quest’anno, ricordiamo, per la prima volta i consumi di carbone cinesi hanno smesso di crescere e nel 2013 la nuova potenza elettrica installata da rinnovabili ha superato quella termoelettrica, mente gli obiettivi da raggiungere con le rinnovabili vengono costantemente innalzati. Nel 2007 queste rappresentavano il 21% della potenza elettrica cinese; lo scorso anno erano già passate al 30%, con 89 GW eolici e 20 GW di fotovoltaico, tecnologia il cui installato annuale nel 2013 è cresciuto di 4 volte rispetto all’anno precedente.