Il proliferare delle occupazioni abusive di case pubbliche (si può escludere che ciò avvenga in futuro anche per quelle private?) è stato accompagnato da episodi di intimidazione e di violenza che mettono in dubbio l’esistenza dello Stato di diritto. Chi entra in un alloggio pubblico con la forza toglie un diritto a chi ne dovrebbe essere il legittimo titolare. Non è semplicemente una guerra tra poveri ma siamo in presenza anche di un’associazione criminale che esercita una fiorente attività commerciale a danno dei cittadini più deboli.
Abbiamo di fronte delinquenti cui va riconosciuta una certa professionalità perché, muovendosi nelle pieghe del diritto, riescono a far sì che due occupazioni su tre abbiano successo. Ciò accade perché l’uso strumentale di donne incinte e bambini (ma non si tratta di riduzione in schiavitù?), accompagnata dall’insufficiente numero di agenti di pubblica sicurezza e di assistenti sociali, rende impossibile le operazioni di sgombero. Come se non bastasse gli inquilini regolari che contrastano le occupazioni abusive rischiano di essere oggetto di rappresaglie. Il comportamento delle istituzioni consiste per lo più nello scaricabarile delle responsabilità.
Come si può affrontare una matassa aggrovigliata? In primo luogo l’obiettivo non può che essere il ripristino della legalità: siamo di fronte ad un reato gravissimo che mina la stabilità sociale. Si deve procedere rapidamente allo sgombero a partire dalle occupazioni abusive più recenti e rendere impossibile che il fenomeno si ripeta. L’intervento di agenti di polizia e di vigili urbani, così come degli assistenti sociali deve essere garantito (gli straordinari sarebbero un ottimo investimento) e bisogna affermare con chiarezza che l’uso indegno di donne e bambini è un doppio reato che non solo non produce risultati ma che non rimane senza conseguenze.
Questo non confligge con misure di assistenza che debbono essere offerte agli occupanti in stato di accertato bisogno. Se servono nuove norme si agisca con decreto legge. Poi si potrà procedere a rimettere gradualmente ordine nel sistema dell’edilizia popolare. Certo non bisogna illudersi che sia solo un problema di ordine pubblico contingente. Le case vuote sono migliaia: non vengono assegnate perché sono inagibili e da ristrutturare, ma mancano le risorse. Una buona idea è quella di cedere alloggi ad assegnatari che provvedono ai lavori rivalendosi sui canoni futuri. Nello stato in cui si trova l’edilizia popolare è bene non farsi illusioni perché senza rilevanti risorse (che non ci sono salvo decisioni politiche improbabili) e con un livello di morosità di canone e spese condominiali elevatissimo il fallimento è dietro l’angolo. Non ci sono le condizioni per garantire l’ordinaria amministrazione, le ristrutturazioni, tantomeno nuovi progetti di sviluppo.
Per tornare a crescere occorre ridimensionare il patrimonio pubblico cedendo agli inquilini in regola la proprietà a condizioni fortemente agevolate, considerando i canoni regolarmente pagati nel tempo come anticipi per la vendita e nello stesso tempo avviare una seria indagine sulla motivata morosità incolpevole per individuare i furbi. Per gli italiani la casa è da sempre una parte fondamentale della propria vita da amministrare con cura. Trasformare in proprietari una parte importante degli inquilini pubblici li responsabilizzerebbe, non solo per le ristrutturazioni e la gestione delle spese condominiali, ma prima di tutto aumenterebbe la sicurezza dei caseggiati e dei quartieri. Se nella vendita si scontassero i canoni pagati il pubblico registrerebbe una perdita (teorica) sullo stato patrimoniale ma ne trarrebbe un vantaggio (reale) sui conti economici. In fondo l’articolo 47 della Costituzione (la più bella del mondo) è scritto che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”.