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Rai, i danni e le beffe

Rai

Sembra di rivedere la scenetta televisiva di Totò, quando raccontava di essere stato ripetutamente schiaffeggiato da uno sconosciuto che, tra un manrovescio e l’altro, gli inveiva contro chiamandolo con un altro nome. A quel punto, chiariva di non essersi difeso dall’aggressione per ben due buoni motivi: se da una parte era incuriosito, volendo capire fino a che punto il suo ceffonatore volesse spingersi con gli insulti, dall’altra c’era il fatto che lo sconosciuto non voleva picchiare lui, Totò, bensì un’altra persona. Insomma, ci aveva messo la faccia, tumefatta, che però non era la sua: giù risate.

Il caso del decreto legge “bonus 80 euro” ripropone lo stesso canovaccio: all’articolo 20 (Società partecipate), inserito nel Capo II intitolato “Amministrazione sobria”, si prevede che la Rai partecipi alle finalità dell’articolo medesimo secondo quanto previsto all’art. 21 (Disposizioni concernenti RAI S.p.A). In quest’ultimo articolo vengono ridefinite le funzioni della Concessionaria pubblica per quanto riguarda l’informazione locale con un riassetto della presenza sul territorio, al fine di ridurre i costi di struttura. Si stabilisce quindi che “ai fini dell’efficientamento, della razionalizzazione e del riassetto industriale nell’ambito delle partecipazioni detenute dalla RAI S.p.A., la Società può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato” e che “le somme da riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, di cui all’articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge 23 dicembre 1999, n.488, sono ridotte, per l’anno 2014, di euro 150 milioni”.

In soldoni: il decreto legge dispone di cedere in Borsa una quota di RaiWay e di non riversare alla Rai 150 milioni del canone radiotelevisivo che è stato riscosso.

Cominciano le sberle: la prima se la prendono i cittadini che hanno pagato il canone radiotelevisivo, una tassa che viene determinata nel suo ammontare sulla base dei costi efficienti del servizio pubblico e dei proventi pubblicitari. Se lo Stato ha preteso il pagamento del canone in una certa misura, è tenuto a remunerare la Rai per quell’importo, riversandolo integralmente: non se ne può trattenere una parte, né soprattutto può utilizzarlo diversamente. E’ un abuso: se il decreto legge riconfigura gli obblighi di servizio pubblico della Rai riducendone i costi di funzionamento, deve prevedere il rimborso pro-quota dei risparmi ad ogni cittadino che ha pagato il canone. Operativamente, deve scomputarlo dall’importo da pagare l’anno successivo. Ogni altro ragionamento non regge, è saliva che cola sul vetro. La faccia di Totò è la nostra, e la prima sberla è arrivata a segno.

Porgiamo l’altra guancia: cessione e quotazione di RaiWay, società fino ad ora interamente detenuta dalla Rai. In pratica, Rayway è una struttura della Rai che ha ottenuto una autonomia societaria anziché rimanere una semplice divisione operativa interna, come era in precedenza: la Rai paga a RaiWay i costi del servizio reso che incassa. Con la cessione di una quota di RaiWay, la Rai ne ha incassato integralmente il provento, che potrebbe arrivare all’azionista Tesoro solo come dividendo straordinario. Questo è l’altro schiaffo: la Rai verrebbe depatrimonializzata. Paga il 100% del costo di un servizio reso da una struttura di cui non ha più il 100% del capitale.

Le privatizzazioni sono un’altra cosa. A voler fare le cose a regola di bazzica, il Tesoro avrebbe dovuto scindere RaiWay da Rai: visto che è azionista di Rai al 99%, poteva ben farlo. Sarebbe divenuto il proprietario diretto, al 99%, di due distinte società. A quel punto, poteva privatizzare una quota a piacere di Raiway, incamerando direttamente il provento della sottoscrizione della cessione.

Tutti hanno aspettato per vedere come andava a finire, prendendo uno schiaffo appresso all’altro: i cittadini che hanno pagato un canone che non va tutto alla Rai, visto che ne è stato prelevato graziosamente un pizzo; il Tesoro che non sa come incassare il provento della cessione parziale di RaiWay; il CdA di Rai che è intimorito da possibili azioni legali.

Più che una scenetta televisiva di Totò, è una puntata della prova del cuoco: un consommè di castronerie.

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