Con il nuovo anno diventeranno operative le nuove regole che comporanno l’architettura finanziaria europea. Un numero ingente di norme disegnate dal Parlamento europeo e dalla Commissione manifesteranno i loro effetti, alcuni auspicabili altri indesiderati. L’obiettivo politico delle istituzioni di Bruxelles sembrerebbe chiaro:
1) evitare nuove crisi sistemiche del mondo finanziario;
2) ridurre l’uso di fondi pubblici per il salvataggio delle banche.
I tecnici europei hanno redatto una serie di norme molto stringenti che richiedono banche più liquide e capitalizzate (Basilea 3), una Vigilanza centrale europea, Asset Quality Review e stress test, maggiore protezione del risparmio (MiFID, MAD), una concentrazione dei derivati in monopoli naturali (EMIR), la creazione/irrobustimento di safety net di stabilità (DGS, BRR, ICSD), la divisione tra banca commerciale e banca d’investimenti (Liikanen e altri), una nuova attenzione ai temi di corporate governance.
Tutte queste novità sortiranno gli effetti desiderati? Riusciranno a evitare nuove crisi e nuovi costi per le finanze pubbliche? Ma soprattutto, le norme prodotte riusciranno a ridurre i rischi derivanti da speculazione finanziaria, che produce benefici privati ma socializzazione dei costi? Lo sapremo tra qualche anno.
Alcune riflessioni sull’impianto generale possono però essere già oggi avanzate:
1) l’obiettivo di sostenere la crescita economica non traspare in tutta la sua evidenza. Escludendo forse il SMEs supporting factor, poco è stato pensato per lo sviluppo;
2) i rischi. Alcuni macro rischi non sembrano essere stati eliminati;
a. Rischio derivati. Con EMIR si concentrano le negoziazioni nelle CCPs e si può così monitorare il macro rischio derivati, ma è evidente che le CCPs diventano ora il vero rischio sistemico. Il collasso di una o più banche d’investimento attive in derivati potrebbe far saltare una CCP e indurre l’uso del Resolution Fund per il salvataggio.
b. La SRM sembra disegnata per gestire crisi di banche commerciali medio/grandi ma non di banche enormi, per la dimensione ridotta del fund (55 miliardi di euro) e per il fatto che gestire il collasso di una investment bank richiederà linee di azione molto complesse, come le recenti esperienze insegnano.
c. Too big to fail. Dalle norme traspare la spinta implicita a fusioni, che innalzeranno il grado di rischio sistemico.
3) le regole riducono ancor di più la discrezionale e fondamentale “arte del banchiere” che permetteva, in un contesto economico particolare come quello italiano, di avere margini di flessibilità molto forti e che oggi appaiono altrimenti compromessi. Tutto questo attivismo dei “tecnici” europei e le relative norme applicative andranno sperimentate, ma sicuramente perfezionate in corso d’opera. Il rischio legato al too big to fail e ai derivati rimane aperto, forse maggiormente governato, ma comunque non risolto.
Emerge la possibilità di usi distorti del Resolution Fund per risolvere crisi di banche speculative. Questo va fortemente evitato. Come già scritto latita la visione della crescita e norme che non penalizzino le banche che per storia, tradizione e operatività privilegiano attività a basso profilo di rischio.
In definitiva quello che viene sottovalutato è il rischio che una crisi originata dalla finanza speculativa sia pagato da tutti, e anche se il meccanismo di bail in e le safety net (DGS, resolution Fund, ICSD) possono in via teorica limitare il danno, il rischio che la finanza speculativa metta in crisi l’economia reale è purtroppo ancora rilevante e forse, in realtà, come sanno bene i “tecnici legislatori” irrisolubile.
Giuseppe De Lucia Lumeno
Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari