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Tutte le convergenze di Brunetta e Fassina contro l’Euro-Titanic

Una realtà che lascia scontenti tanto i fautori di un’autentica unificazione politica quanto gli avversari di un super-Stato centralizzato e burocratico. E che con i suoi vincoli finanziari stringenti rischia di rendere inefficaci sforzi, sacrifici e tentativi riformatori attuati negli Stati nazionali.

È il ritratto dell’Unione Europea tratteggiato nel libro “L’Euro è di tutti”, scritto da Roberto Sommella, giornalista, saggista e responsabile della direzione Relazioni esterne e Rapporti istituzionali dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato.

L’agenda politica europea

Volume che ha costituito il cuore del confronto “Euro o non euro, è questo il problema?”, promosso dall’associazione “La Scossa” al Circolo Canottieri Aniene di Roma.

Nel corso del quale politici ed economisti hanno affrontato i temi “caldi” e aperti nell’agenda politica del Vecchio Continente: efficacia dell’intervento di acquisizione di titoli dei debiti sovrani ad opera della BCE, trasformazione dell’Eurotower in prestatrice di ultima istanza e finanziatrice delle imprese in crisi, proposta di scorporare gli investimenti produttivi dai parametri di bilancio, validità del programma preannunciato dalla nuova Commissione UE.

Condividere i debiti sovrani come le colonie americane

Progetti ambiziosi che tuttavia, ha rilevato il presidente del gruppo di Forza Italia a Montecitorio Renato Brunetta, sono mancati nel semestre di presidenza europea guidata dal governo Renzi: “Artefice di una strategia errata focalizzata sulla flessibilità nei margini di bilancio, che provocherà a marzo procedura di infrazione e manovra correttiva”.

A giudizio del parlamentare “azzurro” la priorità era conferire a Bruxelles il potere di garantire i debiti sovrani delle nazioni più in crisi, tramite una Banca centrale promotrice di sviluppo e libera dal fantasma dell’inflazione.

Al pari di quanto riuscì a realizzare il primo segretario al Tesoro degli Usa Alexander Hamilton, capace di creare le premesse per l’Unione federale fondata su una moneta ed esercito unici.

Un’Euro-zona iniqua

Al contrario, ha detto l’esponente di FI, nel Vecchio Continente è stata costruita un’unione valutaria asimmetrica sul rispetto ossessivo del rapporto al 3 per cento tra deficit e PIL. E non del limite del 6 per cento nel surplus della bilancia commerciale, che caratterizza la Germania.

Strategia che “ha arricchito unicamente alcune nazioni contraenti penalizzando le altre in termini di ricchezza e produttività, democrazia e libertà”.

Rispetto a tutto ciò, ha rimarcato l’ex ministro della Pubblica amministrazione, ci meravigliamo dei movimenti e referendum contro l’euro?

I ritardi culturali del PSE

Ragionamento che trova singolare e profonda consonanza nelle argomentazioni del parlamentare della minoranza del Partito democratico Stefano Fassina. Il quale di recente ha parlato dell’esigenza di una “fuoriuscita cooperativa e concordata dalla rotta intollerabile dell’Euro-zona sempre più somigliante al Titanic”.

Ricordando che l’Italia presenta problemi antichi e irrisolti di crescita, il parlamentare punta il dito contro la filosofia economica egemone di “mercantilismo liberista” tutta sbilanciata sulle esportazioni: “Politica cui il Partito socialista europeo è risultato subalterno, e che ha svuotato gli Stati nazionali del potere di governare i mercati”.

Nell’attuale UE non vi sono i margini per un’inversione di rotta

Ai suoi occhi tale gestione dell’euro, anziché promuovere un percorso automatico di integrazione politica, ha provocato risultati fallimentari: un panorama di deflazione con il Pil 3 punti al di sotto rispetto al 2007, svalutazione del lavoro e impoverimento dei ceti medi sempre più rattrappiti e spaventati, aumento di 30 punti percentuali dei debiti pubblici dall’inizio della crisi economica. “Fattori che possono creare conseguenze molto serie sulla tenuta delle democrazie politiche”.

L’ex responsabile economico del Nazareno resta scettico sulla possibilità di promuovere la domanda interna e il finanziamento degli investimenti tramite la flessibilità finanziaria, l’acquisizione di titoli di Stato sovrani ad opera della BCE, e il progetto lanciato dalla Commissione UE: “Misure prive di efficacia nella cornice attuale dei rapporti di forza politici europei”.

Perché i parametri comunitari vanno rispettati

Radicalmente antitetica la riflessione della parlamentare di Scelta civica, l’economista Irene Tinagli, per la quale è facile addossare a Bruxelles le responsabilità per le nostre carenze.

L’economista ritiene errato affermare che la valuta unica costringe i paesi più vulnerabili al rigore soffocante: “Perché i vincoli finanziari comunitari sono scaturiti dalla necessità di ridurre le enormi divergenze nell’Euro-zona. A partire dal risanamento dell’enorme passivo di bilancio dell’Italia”.

Una piena integrazione europea per esportazioni di qualità

A suo parere la ricetta giusta non passa per l’allentamento di tali parametri, “che provocherebbero un ulteriore indebitamento e il pagamento di più interessi per crescere”. Né per il ritorno alla sovranità monetaria di vent’anni fa.

Le strategie che la rappresentante di SC propugna contemplano una piena convergenza europea su fisco, mercato del lavoro, reti infrastrutturali, professioni e servizi, tecnologie e innovazione: “L’UE può trasformarsi in una grande piattaforma di rilancio di un’economia proiettata verso il futuro e verso mercati internazionali come la Cina. Le cui autorità stanno favorendo i consumi interni e quindi l’acquisto di prodotti stranieri”.

L’Italia, osserva la studiosa, deve fare la propria parte riorganizzando meglio le risorse pubbliche: “Le spese annue in termini di sussidi a vario titolo ammontano a 24 miliardi di euro, mentre le uscite per trattamenti previdenziali raggiungono la cifra record di 270 miliardi, pari al 16 per cento del Prodotto interno lordo”.

I vantaggi dell’adesione all’Euro-zona

Parole che vengono riprese e sviluppate dall’economista Nicola Rossi, già parlamentare del Pd ed ex direttore della montezemoliana Italia Futura, fortemente critico verso “una mentalità collettiva per cui vent’anni fa nessuno si premurò di spendere 10 minuti per spiegare cosa comportava l’entrata dell’Italia nell’area della valuta unica, e oggi nessuno lo fa per illustrare gli effetti di un’eventuale abbandono dell’euro”.

Riflesso che a suo giudizio ci fa perdere di vista un risultato storico: aver risparmiato ogni anno 30 miliardi di euro di interessi sul debito. “Il problema è che tali risorse non sono state dedicate alla riduzione del passivo di bilancio né a una crescita produttiva lungimirante, bensì alla spesa pubblica per consenso politico”.

I rischi della condivisione dei debiti sovrani

La risposta corretta, evidenzia l’ex parlamentare dei Democratici di sinistra, non risiede nella svalutazione dell’euro: “Sollievo temporaneo che nel medio-lungo termine si risolverebbe in un notevole aumento dei prezzi nocivo per le fasce popolari”.

Ai suoi occhi non è convincente neanche la proposta di una gestione corresponsabile dei debiti sovrani: “Rischia di accrescere la corsa verso un ulteriore indebitamento dei paesi più vulnerabili per colmare i ritardi nel terreno dello sviluppo economico. Una crescita illusoria”.

Per Rossi l’unica strada ragionevole è procedere verso rilevanti cessioni di sovranità nazionale a favore dell’UE, allo scopo di completare il guado dell’unificazione politica: “Il che passa per la costituzione di un’unione fiscale autentica e di un responsabile dell’economia europea. Una visione mancata al governo Renzi nel corso del semestre di presidenza”.


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