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Ecco come il Corriere della Sera sta per essere superato da Repubblica in quirinalismo

I partiti italiani, dai grillini al Pd, da Forza Italia a Ncd – con una parziale eccezione della Lega dove le mene innanzi tutto tedesche pro Tosi non hanno prodotto finora scomposizioni radicali – sono stati ridotti, ormai da oltre tre anni, quasi a maionese impazzita, grazie a una gestione “dall’alto”, insieme ambiziosa e pavida, della politica italiana da parte di Giorgio Napolitano: una gestione poi relativamente sussunta (e migliorata ma sempre drammaticamente dall’alto) da Matteo Renzi.

E’ una scelleratezza andare a scegliere in queste condizioni quella figura centrale del nostro sistema istituzionale (già in crisi) che è la presidenza della Repubblica: a questo proposito solo scomposti commentatori possono paragonare il ruolo del nostro uomo del Colle a quello ben limitato e inquadrato di capi dello Stato di nazioni come la Germania o la stessa Grecia. E in questo senso è da irresponsabili in vista dell’elezione quirinalizia non aver sciolto un Parlamento delegittimato da una discutibile sentenza dell’Alta corte e dai successivi disfacimenti delle varie forze politiche: siamo al punto che ci tocca invidiare persino Atene sempre pronta a sottomettere – quando la sciagurata Berlino non lo impedisce – ai cittadini le decisioni sui suoi indirizzi di fondo.

Ma siccome ogni tanto la Provvidenza rimedia alle follie umane, può darsi che ci sarà consentito di galleggiare per un’altra fase.

Gli sforzi di unificazione dell’opinione pubblica nazionale, i compromessi per tenere insieme la nazione: questi partiti come sono oggi (o allo sbando o concentrati solo su interessi da nomenklature o espressione più o meno barbarica di puri stati d’animo) non sono più in grado di farli, però può darsi che alcuni miracoli di tal fatta riescano a quei surrogati di rappresentanza della volontà nazionale che sono finiti per diventare certi media nazionali.

E ciò lo potrebbero fare anche perchè aiutati dalla decisiva azione di articolati ambienti angloamericani (peraltro la principale base economico-politica di Matteo Renzi) che di Roma hanno assolutamente bisogno per puntellare l’azione di quel loro prezioso punto di riferimento che è Mario Draghi.

In tal senso il fenomeno più significativo di queste settimane è l’avvicinarsi del gruppo “Espresso-Repubblica” al presidente del Consiglio, iniziato con l’assunzione di una personalità assolutamente non supersimpatizzante del renzismo ma strutturalmente “istituzionale” come Stefano Folli a commentatore principe del quotidiano di Ezio Mauro e consolidatosi con la scelta non priva di azzardi (viste le competenze manageriali e il carattere bizzoso del soggetto) di Tito Boeri alla presidenza Inps. Chissà se anche l’entusiasmo del “republiccone” Roberto Saviano per il nuovo generale dei Carabinieri scelto da Renzi fa parte di questa tendenza.

Il quotidiano di Largo Fochetti ha finora sgombrato il terreno della corsa quirinalizia dal nome di Giuliano Amato (e Sabino Cassese?), indicati senza la sua “consultazione” da Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano, ha di fatto emarginato un suo antico candidato come Romano Prodi (malumori di ambienti americani?), che oggi particolarmente nervoso si fa sostenere in modo caotico ora da Giuseppe Civati, ora da Augusto Minzolini, ora da Carlo Rossella: per non parlare di Vladimir Putin.

Adesso, però, si ha la sensazione che gli uomini di Mauro siano passati alla parte costruens.

L’idea dei debenedettiani pare essere quella di fare da sponda naturalmente a una scelta sostenuta da ambienti angloamericani anche come supporto per gestire un’eventuale crisi dell’euro, di avere quindi come elemento di orientamento principale Draghi e di partecipare su questa traccia abbastanza apertamente alla selezione del “candidato” così da assumere nella fase successiva quel ruolo quirinalizio che oggi ha il Corriere della Sera.

Con via Solferino largamente allo sbando, con gli ambienti Fiat/Agnelli che non hanno ancora ridisegnato un proprio ruolo nazionale/generale nella fase post accordo Chrysler, Carlo De Benedetti, vede concretamente la possibilità di progettare un suo nuovo giornale-nazione scippando la funzione che tradizionalmente svolgeva il quotidiano milanese.

In questo scenario la candidatura più credibile appare quella di Pier Carlo Padoan: è sicuramente gradita a Draghi, “parla” ad Angela Merkel, vanta buoni rapporti con la parte centrale della minoranza Pd, non spaventa né Renzi né Berlusconi, ha tradizionali buoni rapporti con l’area “Cir” (quest’ultima peraltro potrebbe presto reclutare anche Ferruccio de Bortoli completando il proprio profilo istituzionale).

Inoltre la soluzione Padoan offre la possibilità di discutere della casella decisiva del ministero dell’Economia: alcuni osservatori anticipano un eventuale incarico a Lorenzo Bini Smaghi. Non sono convinto di questa previsione: anche per lo schierarsi troppo filogermanico del -pur fiorentino- ex Bankitalia. L’asse Renzi-Repubblica potrebbe invece finire per puntare su una star di scuola americana magari completando così l’opera di svuotamento dell’influenza corrierista, e consolidando un certo sfondamento al centro dei renzisti in stretto collegamento con il sinistrismo-alternato-al-liberismo di marca Largo Fochetti.

Una serie di colpi di scena, un consolidamento del supporto mediatico, un articolato asse che va da Francoforte al Quirinale a Via Nazionale finirebbero così per costruire la rete per reggere un rilancio dell’azione di governo e per dotarlo di un – in qualche modo – rinnovato sistema di potere e di consenso.

Ciò offrirebbe senza dubbio una nuova occasione di tregua alla martoriata società italiana anche se al prezzo di nuovi verticismi e insieme di molteplici confusioni trasformistiche: fenomeni che senza una vera alternativa politica finirebbero per aggravare la nostra già devastante crisi istituzionale.

D’altra parte una tregua è comunque meglio di nuovi atti di guerra guerreggiata del tipo di quelli temuti da un osservatore di solido buon senso come Ugo Sposetti che annusa qualche tentazione (nazionale o anche internazionale?) di disorientare l’opinione pubblica (si rievoca a questo proposito la funzione dell’attentato a Giovanni Falcone per aprire la strada a Oscar Luigi Scalfaro) per arrivare a portare un magistrato al Quirinale.



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