Dopo il detto si passa al non detto da Giorgio Napolitano nel messaggio televisivo di auguri di buon anno e di commiato in veste di presidente della Repubblica.
La caccia a ciò che il capo dello Stato avrebbe voluto o potuto dire, e ha invece deciso di non dire, è stata avviata o stimolata, volente o nolente, dallo stesso Napolitano dicendo al quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, di avere “tenuto a bada i sentimenti negativi che pure avrebbero potuto esserci in un bilancio come quello destinato a concludere i mei quasi nove anni al Quirinale”.
Senza la pretesa, naturalmente, di volere essere interpreti autentici del capo dello Stato uscente, si può pure tentare di avvertirne i “sentimenti” nascosti, ispirandosi anche ad altri suoi interventi pubblici e andando oltre a quelli già immaginati e riferiti a caldo su Formiche.net appena dopo avere sentito il messaggio televisivo di fine anno. A proposito, in particolare, del vulnus umano e istituzionale che possono avere procurato negli ultimi mesi al presidente della Repubblica i richiami spesso minacciosi del capo del governo e segretario del Partito Democratico Matteo Renzi, e/o dei suoi amici, alle elezioni anticipate. Le cui chiavi sono notoriamente nelle sole mani del capo dello Stato, che non ha nascosto la contrarietà ad usarle di nuovo. Ed ha probabilmente deciso di anticipare la propria uscita dal Quirinale anche per questo, nel timore di trovarsi fra qualche mese costretto a fronteggiare, già in condizioni di maggiore “affaticamento” fisico, una crisi di governo finalizzata appunto ad uno sbocco elettorale.
Il non detto di Napolitano può essere immaginato facilmente a carico dei soliti Beppe Grillo e Marco Travaglio, che ne distorcono sistematicamente la figura rappresentandolo come un prevaricatore. Ma anche a carico di quegli esponenti di Forza Italia, come il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, che anche nel commento al messaggio di Capodanno hanno fatto quasi concorrenza a Grillo e Travaglio. O a carico di quei magistrati di cui lo stesso presidente della Repubblica ha recentemente lamentato e denunciato come presidente anche del Consiglio Superiore della Magistratura il “protagonismo”, una certa avventatezza inquirente e la pretesa di svolgere missioni improprie, per quanto salvifiche: missioni di natura non giudiziaria ma politica.
Napolitano avrebbe avuto e avrebbe motivi di delusione e di preoccupazione, in verità, anche per quel tipo speciale di magistratura che è la Corte Costituzionale, un terzo della quale peraltro è proprio di nomina presidenziale. Una Corte che, certo, gli ha dato piena ragione nel conflitto di competenza con la Procura di Palermo da lui sollevato per le intercettazioni telefoniche occorsegli nel procedimento sulla presunta trattativa di una ventina d’anni fa lo Stato e la mafia, ma che non ha contribuito a legittimarne ruolo e figura con la bocciatura, nel 2009, del cosiddetto lodo Alfano. Che Napolitano aveva promulgato l’anno prima con tanto di comunicato esplicativo delle ragioni di legittimità costituzionale, e di conformità della legge ad una precedente sentenza della stessa Corte su analoga materia.
Da quella bocciatura derivarono non pochi effetti negativi sugli equilibri di governo e, più in generale, politici. E l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che da quel lodo sarebbe stato giudiziariamente protetto sino alla fine del proprio mandato di governo, fece l’errore gravissimo di prendersela anche con la prima vittima istituzionale e politica della decisione della Corte: il capo dello Stato, appunto.
A Berlusconi il presidente Napolitano avrebbe avuto e avrebbe anche il diritto, politico e umano, di rimproverare l’acredine per la crisi del suo ultimo governo, nell’autunno del 2011, sotto il tiro incrociato della speculazione finanziaria internazionale e dell’assottigliamento del centrodestra. Una crisi che, per quanto riguardava la consistenza della maggioranza parlamentare, al Quirinale si ebbe la saggezza, e il coraggio, di rallentare, fra le proteste e i malumori delle opposizioni, vecchie e nuove. In particolare, Napolitano si prodigò pubblicamente perché nel 2010, vista la precedenza dovuta all’esame della legge finanziaria, la mozione di sfiducia contro il governo promossa dagli amici dell’allora presidente della Camera Gianfranco Fini venisse votata in tempi e modalità tali da consentire a Berlusconi di uscirne indenne.
Anche di fronte e dopo la discutibile condanna definitiva per frode fiscale dell’ormai ex presidente del Consiglio, ma ancora senatore partecipe della maggiorana di governo, Napolitano mostrò aperture e disponibilità ad un intervento in qualche modo riparatore. Ma dall’altra parte non seppero o, peggio, non vollero raccogliere quei segnali, preferendo la strada di un irrimediabile scontro politico e istituzionale.
Il non detto del messaggio televisivo di augurio e di commiato di Napolitano potrebbe pure continuare. Ma sia concesso anche qui su Formiche.net di trattenerci da “sentimenti negativi” e chiudere qui la partita.