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Non solo F-35. Così gli Usa riorganizzano la presenza in Europa (e in Italia)

Gli Stati Uniti ridurranno la loro presenza militare in Europa. Il dato non deve allarmare: anche Washington è alle prese con una spending review che, per ragioni di budget, porterà al ridimensionamento dell’esercito.

Il lato positivo è che ciò non inciderà sul Vecchio Continente, dove la Nato continuerà a rappresentare un solido fornitore di sicurezza; e nemmeno sull’Italia, dove anzi la presenza verrà rafforzata.

La riduzione riguarderà infatti tutti le nazioni esclusa la Penisola, dove convergeranno 300 uomini in più dalla teutonica Spangdahlem. Inoltre le basi dell’Alleanza Atlantica – soprattutto in Sicilia con Sigonella ma anche con il Muos – oggi si rivelano strategiche come non mai.

Altri interventi riguarderanno Vicenza, dove il reparto di degenza sarà convertito in ambulatorio; e la chiusura parziale dell’arsenale di Camp Darby tra Pisa e Livorno, di cui metà circa tornerà sotto il controllo del ministero della Difesa italiano.

Complessivamente, a essere interessati da questa revisione, annunciata dal Pentagono, saranno una base aerea nel Regno Unito e oltre una dozzina di presidi in tutta Europa: in Germania, Belgio, Olanda e Italia, appunto.

Si tratta di un vero e proprio cambiamento strategico, sul quale incide in maniera determinante la spinta data dal programma F-35. Tra le novità è prevista infatti l’espansione, nel Regno Unito, della vicina Raf Lakenheath, prima base europea per due squadroni di caccia di Lockheed Martin.

E non è escluso che in futuro anche l’Italia possa ottenere vantaggi aggiuntivi dal proprio investimento nel sistema d’arma. Cameri, in provincia di Novara, è stato già scelto come centro per la manutenzione di alcune parti del velivolo; ma altre basi tricolore, come quella di Aviano, potrebbero ospitare a loro volta alcuni F-35, che nei prossimi anni sostituiranno progressivamente gli F-16.

Il piano di riorganizzazione, voluto da Barack Obama, è estremamente ambizioso e dovrebbe entrare a pieno regime entro il 2021. Dopo i costi di implementazione iniziali (con una spesa una tantum stimata in circa 1,4 miliardi di euro), il Dipartimento della Difesa prevede di risparmiare circa 500 milioni dollari ogni anno grazie a queste azioni infrastrutturali. Ciò consentirà al DoD di reinvestire le risorse per supportare più efficacemente le esigenze operative e militari del nuovo scenario, che include la risposta per la crisi in Ucraina. Queste misure, sono state studiate specificamente per venire incontro ai partner Nato e ai loro timori di un’escalation della minaccia russa alle porte del Vecchio Continente.

Questo perché, spiegano dagli Usa, se è vero che da un lato ci sarà una leggera diminuzione del livello delle forze a stelle e strisce nella regione, dall’altro questo non intaccherà il potere militare americano, come ha tenuto a precisare il segretario alla Difesa, Chuck Hagel.

Nonostante la chiusura di Mildenhall e di altre basi minori, compresa quella di Lajes Field in Portogallo, dove si trovano 500 soldati, gli Stati Uniti rimangono impegnati a fianco degli alleati europei” ha detto il dimissionario numero uno del Pentagono.

L’obiettivo annunciato non è infatti quello di “tagliare” tout court, bensì trasformare le infrastrutture per massimizzare le capacità militari nel Vecchio Continente, rafforzando la partnership con l’Europa e gli alleati, Nato e non, ottenendo al tempo stesso importanti risparmi.

In poche parole bisognerà fare meglio con meno, un mantra ripetuto spesso anche in Via XX Settembre, dove sotto la supervisione del ministro Roberta Pinotti, si appena conclusa la redazione preliminare del Libro Bianco della Difesa.



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