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I lobbisti “raffreddati”

A gennaio, con il freddo, a stare scoperti si prende il raffreddore. Nel caso dei lobbisti il rischio è doppio: oltre al raffreddore, c’è il “raffreddamento”. La legge statunitense impone un periodo di “cooling-off” (appunto, raffreddamento) subito dopo la cessazione di un incarico pubblico. Per i senatori dura due anni, per i congressisti uno. L’obiettivo è quello di evitare le famose porte girevoli, lasciando decantare i futuri lobbisti per un periodo sufficiente a rendere le informazioni sensibili in loro possesso non più attuali e, di conseguenza, a impatto ridotto sulla concorrenza.

Il raffreddamento funziona? Dipende. Probabilmente è utile a rendere difficile la vita a coloro che scelgono di cambiare lavoro, passando al settore privato. Però nessun limite potrà impedire alle aziende di assumere ufficiosamente un ex politico o capo di gabinetto, e poi ufficializzare la nomina appena scade il periodo di raffreddamento.

Lo dimostra l’ultimo rapporto diffuso dalla Sunlight Foundation e da Opensecrets. Il rapporto censisce 29 ex congressisti che sono già nelle public relations di aziende o nei public affairs di agenzie di lobbying. Di questi 29 ce ne sono 13 che si sono già registrati al registro federale del lobbying. Pare difficile immaginare che queste persone non collaborassero già con i rispettivi (nuovi) datori di lavoro.

Il problema, allora, non è tanto nel raffreddamento, ma nell’evitare che si creino gli “shadow lobbyists”, cioè i lobbisti di fatto, che svolgono il loro lavoro ai margini delle regole. Per farlo gli obblighi e i limiti non vanno imposti né alle aziende né ai lobbisti, ma alle istituzioni e a coloro che rivestono incarichi pubblici, mentre esercitano il mandato. Ma questa, purtroppo, è la soluzione che non piace a nessuno.


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