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Le guerre sono solo sante?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo 

Gentili signori,

Mi chiamo Claudio Puglia, ho 40 anni e, da quando mi ricordi, sono un ateo. Capisco la rabbia, capisco lo sgomento, ma sono stanco di vedere utilizzata la parola “ateo”, della quale io sono e sono sempre stato fiero, come ricettacolo di ogni ignominia e perversione umana. Vi prego di non usarla in questo modo, ma di averne rispetto, come io, da miscredente, ho rispetto per la Vs. religione, per quanto la ritenga falsa.

Molto probabilmente i morti della redazione di Charlie Hebdo erano, come me, degli atei laicisti. Abbiate rispetto soprattutto di loro, se non volete averne di noi atei.

Gli atei sono ad oggi il gruppo umano meno rispettato e meno preso sul serio per tutta una serie di ragioni sulle quali qui non mi soffermo. L’odio verso l’ateo è socialmente accettato. Sugli atei si può ancora sparare, perché nessuna voce in loro difesa verrà mai presa in considerazione. Basta. Io sono stanco di questa situazione. Vogliamo valere quanto gli altri. Vogliamo l’eguaglianza e la non discriminazione, e con articoli come questi (il cui link riporto sotto) andiamo invece nella direzione opposta.

Non sono, lo confesso, un Vostro appassionato lettore, ma Vi conosco, e qualche cosa l’ho sempre letta, poiché mi piace informarmi in maniera plurale. Non siete un blog oltranzista, o estremista, o fascista, e allora perché cadere su queste cose?
Cordiali saluti,

Claudio Puglia

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Caro direttore,

ho letto con attenzione la lettera che Claudio Puglia ha inviato a Formiche.net, lamentandosi dell’uso del termine “ateo” che io avrei fatto nel mio articolo di sabato scorso. Intanto devo dire che ho apprezzato la correttezza con cui è stata segnalata la cosa, un garbo molto differente da alcuni insulti personali che mi sono giunti, invece, sui social network da altri lettori sedicenti atei.
A volte bisogna saper discutere senza offendere anche con chi non è d’accordo con te e tocca la tua sensibilità profonda.

La pacatezza della lettera è una buona opportunità, quindi, per spiegare meglio le mie idee.

La prima osservazione riguarda il ragionamento che ho sviluppato, forse eccessivamente sottile, che non aveva di mira per nulla l’ateismo come giudizio negativo che legittimamente una persona decide di dare sull’esistenza di Dio, ma l’assurdità, l’ignoranza e la pervicacia di chi utilizza Dio per dare motivazione – che evidentemente non può esservi – di un eccidio terribile e gratuito come quello che si è consumato la scorsa settimana a Parigi.

È chiaro che la condanna è a chi uccide, e non al suo credere o non credere in Dio. L’ateismo tanto quanto il teismo non sono, infatti, espressioni immediate di un’appartenenza confessionale specifica ad una religione rivelata, ma esprimono le due modalità filosofiche più profonde con cui un essere umano può rispondere all’interrogativo ultimo sollecitato dalla sua stessa esistenza personale. Si può ritenere che il mondo, e la vita in esso contenuto, derivi da un’intelligenza trascendente oppure no, senza che con questo vi siano uomini buoni o cattivi, e men che meno cristiani, ebrei o musulmani.

La risposta che viene data da ciascuno a questa primaria questione esistenziale, tuttavia, non è mai insignificante sulle scelte religiose o meno che si assumono nel tempo. Io posso, ad esempio, essere teista e non avere nessun tipo di credenza soprannaturale. Mentre se sono ateo escludo a priori ogni possibile fede specifica.

Naturalmente chi crede in Dio, e aggiunge a questa sua persuasione un rapporto con Dio specificato da una certa religione monoteista, ebraica, cristiana o musulmana, ritiene che questo suo Dio abbia le caratteristiche di una causa personale e universale della realtà che lo interpella e impegna totalmente a considerare sacra la vita di se stesso e degli altri.

Ecco l’assurdo: uccidere in nome di Dio equivale a negare il primo significato che Dio ha per il credente, vale a dire il valore delle creature umane. Nessuno, infatti, che ama un padre uccide i suoi figli. Egli, in realtà, non è quindi veramente un credente perché non crede assolutamente a niente di sacro. Semmai, cosa avvenuta in questo caso, egli offende i credenti perché trasforma la sua religione in violenza politica. Chi uccide in nome di Dio è, in aggiunta, oltre che criminale anche folle, perché si comporta in modo contraddittorio e impossibile rispetto a ciò cui dice di credere. E pertanto come minimo non crede in Dio.

Qui viene il punto sollevato da Puglia: dire una cosa del genere equivale ad offendere e denigrare l’ateismo?

Credo proprio di no. Io non ho detto che tutti gli atei uccidono. Men che meno che tutti i teisti siano credenti, o che essi siano santi per il solo fatto di esserlo. Ho detto soltanto che una persona che uccide in nome di Dio dimostra di voler uccidere il Dio in cui dice di credere e quindi professa non un semplice ateismo, pienamente legittimo in sé, ma un ateismo violento e criminale che giunge fino al paradosso del deicidio. Se Allah è grande, infatti, perché uccidere le sue creature?

Per quanto riguarda la posizione degli atei, trovo sbagliato che essa venga ideologizzata fino a farci discutere se si tratti di una maggioranza o di una minoranza. Io penso che l’ateismo sia un’opzione fondamentale decisiva, che ho sostenuto anch’io per tanto tempo e con tanti dubbi prima di arrivare alla fede, un’opzione che sta da sempre alla base della libertà intima e della ricerca di senso di ognuno di noi. Ecco perché, come ho scritto e detto tante volte, il diritto di un ateo ad essere tale ha la stessa portata assoluta del diritto del teista a credere in Dio e a rapportarsi o non rapportarsi a Lui come meglio vorrà.

Ribadisco, in conclusione, il mio giudizio: chi uccide senza altro movente che non sia Dio fa professione di ateismo. Anche se, ovviamente, non è un criminale perché ateo, ma lo è perché uccide. Con l’aggravante di dileggiare, più di tutti, chi è ateo e chi è musulmano.

Benedetto Ippolito


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