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Come cambia l’assetto politico della Cina

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La Cina, Impero di Mezzo, cambia sempre in fretta. La “linea”, di Xi Jinping si sta affermando sia nell’élite del Partito Comunista che nella più vasta realtà cinese, nonché nelle relazioni di Pechino con l’Europa e gli USA.
E comunque, indipendentemente dalle antiche affiliazioni di potere interno al PCC, Xi sta selezionando una nuova classe dirigente che non avrà altri protettori al di fuori del leader, che sceglierà i suoi uomini in funzione della loro fedeltà al Capo, ma soprattutto della loro funzionalità al progetto politico nuovo di Xi Jinping.

Se nessuno può pensare di essere al sicuro, con Xi, questo vuol dire che sta cambiando, con il nuovo Capo, un dato antico e strutturale del potere cinese contemporaneo: non avremo più una confederazione di gruppi al potere, ma una leadership snella, potente e capace di attrarre a sè non solo i membri del Partito Comunista, ma l’intera società civile.
Come ai tempi di Mao Zedong, solo selezionatore dei capi del PCC e dello Stato, e secondo la tradizione di dedizione al Popolo e al Capo che è inscritta nel canone confuciano.
Il quale, peraltro, si fonda sul Tao, e trasforma una tradizione mistica, come quella taoista, in una prassi sicura e stabile di governo.

L’amore e il rispetto dei cittadini cinesi non si comprano con lo sviluppo economico, ma con il prestigio morale e la attitudine al comando dell’intera società. E’ appunto questa la “linea” attuale di Xi Jinping.
Il punto di svolta è rappresentato, qui, dalla lotta senza quartiere alla corruzione.
Se in qualsasi Paese occidentale la corruzione è pericolosa per la stessa sopravvivenza dello Stato, nella tradizione del PCC essa è la negazione stessa della legittimità del Partito rivoluzionario e della sua egemonia leninista sullo Stato.

Secondo la tradizione maoista, che si è innestata nel tessuto costituzionale cinese, la moralità economica dei leaders e la loro inattaccabilità personale è il fondamento della fedeltà al Partito, e quindi del potere legittimo del Partito sullo Stato e la società civile.
Per non parlare della immagine della Cina comunista all’estero e della tutela dei suoi interessi geopolitici, che, se si espandesse la pratica corruttiva, si privatizzerebbero di fatto, con i pericoli mortali che si possono facilmente immaginare.

La lotta alla corruzione, in Cina, ha già colpito Zhou Yongkang, già capo della Sicurezza, e moltissimi altri dirigenti del Partito e della amministrazione pubblica.
I media cinesi parlano della lotta alla corruzione di Xi Jinping non come di una “campagna”, ma come una “guerra protratta”, ed è questo il senso vero di tutta l’operazione.
Ma, diversamente da quello che pensano alcuni analisti occidentali, ritengo che la leadership di Xi Jinping sia più che sufficiente per finire il lavoro di pulizia interna del PCC.

Non credo che una ulteriore liberalizzazione interna potrebbe aiutare Xi, perchè questo processo favorirebbe il frazionismo all’interno del Partito e la penetrazione in Cina, travestiti da partiti o da gruppi di pressione, di interessi poco chiari e di paesi e aziende straniere.
Il multipartitismo e il frazionismo delle élites rendono un Paese “viabile”, come dicono alcuni analisti strategici nordamericani, ovvero condizionabile e “attraversabile” da interessi e operazioni di altri Paesi, non necessariamente amici della Cina.

Poi, non bisogna dimenticare che la campagna anticorruzione di Xi Jinping è essenziale per rafforzare il processo di liberalizzazione economica interna e la proiezione degli interessi cinesi all’estero.
Basti pensare, qui, al rayonnement di Pechino in Africa, e ai nuovi appuntamenti geostrategici che attendono Pechino dopo la chiusura delle operazioni ISAF in Afghanistan, che porteranno ad un ridisegno di tutta l’Asia Centrale e ad un inevitabile rafforzamento della Shangai Cooperation Organization.

E questo riguarda anche le Forze Armate cinesi: Xi Jinping ha correttamente citato la Conferenza di Gutian, quando Mao Zedong prese il comando della Quarta Armata Rossa, e ha ricordato ai capi dell’Esercito Popolare di Liberazione che “è il Partito che comanda il Fucile”.
Ovvero, i Capi delle Forze Armate sono sottoposti all’autorità del PCC, decisore di ultima istanza anche nelle questioni della Difesa e della strategia militare.

Il frazionismo militare sarebbe l’anticamera della corruzione generalizzata, ed è con grande sapienza che Xi sta eliminando le parti corrotte dell’EPL, per non abbattere il morale delle truppe e per non macchiare il prestigio delle Forze Armate di Pechino di fronte agli eserciti stranieri.
L’arte politica, proprio quando si tratta di agire contro un pericolo mortale, deve essere decisa ma prudente.

Sun Tzu lo ha insegnato: “Sii veloce come il vento, lento come una pianta, aggressivo come il fuoco, immobile come una montagna, irriconoscibile come lo yin, irruento come il tuono”.
Noi italiani sappiamo bene come nasce e si rafforza la corruzione negli Stati: troppi corpi separati, incertezza su chi comandi davvero, l’attenuarsi dell’Esecutivo e del suo prestigio, che è tutt’uno con la sua forza, infine la lotta aperta tra i vari poteri dello Stato, che si contendono apertamente le loro zone di influenza e di guadagno.

Xi Jinping sa benissimo queste cose, e opererà presto e bene su questo fronte, determinante per la sopravvivenza dello Stato cinese e di ogni Stato.
Per salvare la società bisogna salvare l’uomo, e per salvare l’uomo occorre salvare la società.
Ce lo ha insegnato Confucio, ed è una regola che vale anche in Occidente, dove la tradizione machiavelliana ha sempre sottolineato l’equilibrio, quasi taoista, tra “virtù” del Capo politico e “fortuna”, che non è un dato casuale, ma è l’analisi completa delle condizioni reali.

Lenin, lettore della migliore tradizione europea del pensiero politico, diceva appunto che “il comunismo è l’analisi reale dei problemi reali”, non è un paradigma concettuale astratto, ma nasce dallo studio oggettivo dei fatti così come si presentano, nella successione della loro “fortuna” machiavelliana.
Certamente Xi Jinping, con la sua lotta alla corruzione, trasformerà radicalmente il PCC e la società cinese, e sarà un processo che, con la prudenza tipica dei veri leader, durerà a lungo.

D’altra parte Xi Jinping sa bene che, come diceva Confucio, “la mente dell’uomo superiore ha familiarità con la giustizia, la mente dell’uomo mediocre ha familiarità con il guadagno”. Ma è già facile prevedere che Xi Jinping ce la farà, e questo porterà la Cina comunista a raggiungere uno status primario, che peraltro già gli compete, nel mondo.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”

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