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Isis, economia, classe media. Tutti i temi del discorso di Obama sullo Stato dell’Unione

Per contrastare i tagliagole del Califfato, Obama si appella al Congresso, a cui chiede “di approvare una risoluzione che autorizzi l’uso della forza contro l’Isis“.

Il sesto discorso sullo Stato dell’Unione del presidente, davanti al Congresso in seduta plenaria (il penultimo della sua storia alla Casa Bianca), è iniziato con questo cambio di passo, che ha messo l’accento sulle cose fatte, su quelle da fare, sui dati “sul superamento della crisi economica“, ma soprattutto sulla classe media.

LA SFIDA ALL’ISIS

Nel suo address, il capo di Stato americano si è rivolto in particolare al fronte repubblicano, che dal primo gennaio, in virtù del risultato delle elezioni di midterm, controlla il Congresso. A questo Parlamento Obama ha chiesto unità, per mostrare al mondo un Paese unito nella lotta al terrorismo.

In Iraq e in Siria – ha spiegato il presidente – la leadership degli Stati Uniti e il suo potere militare stanno fermando l’avanzata dell’Isis. Invece di essere trascinati in una nuova guerra sul terreno, stiamo guidando una ampia coalizione, di cui fanno parte anche nazioni arabe, con l’obiettivo di indebolire e poi distruggere il gruppo terrorista“. Poi la sfida ai jihadisti: “Stiamo anche appoggiando l’opposizione moderata in Siria e aiutando chiunque nel mondo si ribelli alla fallimentare ideologia della violenza estremista. Questo sforzo richiederà tempo e concentrazione, ma avrà successo“.

A SOSTEGNO DEI CETI MEDI

Messa da parte la politica estera, Obama si è concentrato più combattivo che mai sul fronte interno, dove – archiviata la crisi economica -, punta a varare provvedimenti a sostegno dei ceti medi. Ha chiesto al Congresso di aiutarlo a rendere le università pubbliche gratuite, migliorare l’istruzione dei bambini e l’assistenza all’infanzia e infine imporre più tasse ai più ricchi e alle grandi istituzioni finanziarie.
Per questo ha proposto una serie di riforme per favorire la crescita: “Questo significa aiutare questa gente ad avere assistenza all’infanzia, college, assistenza sanitaria e pensioni – e il mio budget darà una risposta a ognuno di questi problemi, abbassando le tasse alle famiglie di lavoratori e portando migliaia di dollari nel loro portafoglio ogni anno“, ha ricordato il presidente Usa.

LE REAZIONI REPUBBLICANE…

I repubblicani, da par loro, hanno fatto commentare il discorso a Joni Ernst, senatrice dell’Iowa nota per le sue posizioni ultra-conservatrici. Ernst ha aperto alla collaborazione con i democratici ricordando tuttavia che il Grand old party continua a lavorare per fermare l’Obamacare e per passare un budget bilanciato “con riforme significative e non con più tasse”.

Sono ancora molti, infatti, i temi che separano i due partiti. E sono molti gli osservatori a sostenere che nonostante i buoni propositi, un Congresso a maggioranza repubblicana non potrà convenire con il presidente su temi come la riforma dell’immigrazione o l’aumento delle tasse ai ricchi per favorire la classe media.

…E QUELLE DELLA STAMPA

Reazioni contrastanti anche sulla stampa. Il New York Times, quotidiano tradizionalmente vicino a posizioni dem, non lesina critiche al discorso di Obama, che a suo parere “lascia aperte domande sull’inutilità di obiettivi improbabili“. La testata parla di “inutile spreco di tempo e di atto per rimarcare la sua forte leadership“. Raramente, prosegue il NYT, “la distanza tra il presidente e il Congresso è sembrata così grande come quando Obama ha presentato un piano che si muove nella direzione opposta al mandato esposto dai repubblicani dopo la vittoria di novembre“. E anche il Washington Post ritiene che Obama dovrà concentrarsi su altre misure, più condivise, se vorrà portare avanti la sua agenda. La linea tenuta nel suo discorso dal capo di Stato, fedele ai suoi valori liberal, lo allontana infatti dalla strategia più aperturista assunta a suo tempo da Bill Clinton, mentre lo avvicina paradossalmente a quella tenuta da George W. Bush, che nel 2006 parlò a un Congresso completamente democratico sostenendo di non voler fare alcun passo indietro nel conflitto iracheno.

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