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Daniele Capezzone: perché il governo traccheggia da 10 mesi sulla delega fiscale?

Nel corso dell’audizione del viceministro dell’Economia, Luigi Casero (Ncd), oggi alla Camera, Daniele Capezzone (presidente della Commissione Finanze) ha avanzato proposte, rilievi e auspici. Ecco l’intervento

In merito all’ipotesi, dichiarata pubblicamente, che il Governo possa trasmettere alle Camere successivamente al 20 febbraio 2015 gli schemi di decreto legislativo attuativi delle parti di delega non ancora esercitate, occorre rilevare, sul piano meramente procedurale, come essa ponga rilevanti problemi relativamente al rispetto dell’iter procedurale definito dalla legge n. 23 del 2014, come attualmente vigente, sia per quanto riguarda l’espressione del parere su di essi da parte delle Commissioni parlamentari competenti, sia per quanto attiene alla stessa possibilità di completare in modo ordinato e rispettoso del ruolo del Parlamento l’esercizio della delega.

Dunque, la premessa doverosa (al di là di ogni distinzione di schieramento e di appartenenza politica, di maggioranza o di minoranza) è che sarebbe assolutamente inaccettabile ogni modalità operativa che comprimesse la possibilità delle Commissioni e del Parlamento (che, non dimentichiamolo, consegnarono la delega al Governo oltre 10 mesi fa!) di esaminare adeguatamente gli schemi di decreto delegato.

Si ricorda infatti, che ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della medesima legge n. 23, le Commissioni parlamentari competenti per materia (le Commissioni Finanze di Camera  e Senato) e le Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari (le Commissioni Bilancio), hanno 30 giorni di tempo dalla data di trasmissione degli schemi per esprimere il parere, termine che può essere prorogato di 20 giorni su richiesta delle Commissioni stesse, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero dei decreti legislativi (esattamente l’ipotesi che si verificherebbe nel caso in cui il Governo esercitasse le parti della delega non ancora attuate).

Infatti, nel caso in cui gli schemi di decreto fossero trasmessi alle Camere e assegnati alle Commissioni già il 21 febbraio, il predetto termine di 30 giorni per l’espressione del parere scadrebbe il 22 marzo, soli 4 giorni prima della scadenza del termine di delega, fissato il 26 marzo 2015.

Tale dato di fatto comporterebbe che, per consentire l’esercizio della delega nel termine di legge (la predetta data del 26 marzo 2015):

– le Commissioni stesse sarebbero costrette a esprimere il parere entro i 30 giorni, senza poter chiedere la proroga di 20 giorni prevista;

– le Commissioni sarebbe costrette a esaminare contemporaneamente in tale termine un numero presumibilmente elevato di schemi di decreto, di contenuto vario e comunque assai complesso;

– il Governo sarebbe verosimilmente costretto a recepire tutte le osservazioni e condizioni formulate nei pareri delle Commissioni chiamate a esprimere il parere sugli schemi, in quanto, in caso contrario, il Governo stesso sarebbe tenuto, ai sensi del comma 7 dell’articolo 1 della legge n. 23, a procedere a un’ulteriore deliberazione del Consiglio dei ministri sullo schema, a trasmettere il nuovo testo alle Commissioni parlamentari competenti (le quali hanno in tal caso 10 giorni per esprimere il secondo parere), e a procedere alla deliberazione definitiva da parte del Consiglio dei ministri (salvo ipotizzare che il secondo esame parlamentare e la deliberazione definitiva del Consiglio possano svolgersi entro tale limitatissimo torno di tempo).

Tali considerazioni di tempistica procedurale acquistano ancora maggiore evidenza ove si consideri che, per concludere completamente l’iter di esercizio della delega, gli schemi di decreto, dopo essere deliberati in via definitiva dal Consiglio dei ministri, devono essere trasmessi alla Presidenza della Repubblica per la promulgazione e quindi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

Quanto al merito, per oggi mi limito a una sola considerazione e a un solo esempio. La considerazione (perfino ovvia, ma in Italia anche le cose ovvie vanno ribadite) è che i decreti devono in tutto e per tutto attuare i principi e i criteri direttivi contenuti nella legge delega. L’esempio è la scottante materia del catasto, che tocca la carne viva dei contribuenti, a maggior ragione in un settore – quello immobiliare – già gravato da una tassazione a mio avviso eccessiva e comunque controversa. La legge delega, all’art. 2, fissa principi chiarissimi a tutela del proprietario-contribuente, e si tratta di un articolo approvato sostanzialmente all’unanimità. Li ricordo in sintesi a memoria:

-partecipazione dei rappresentanti dei proprietari alle Commissioni censuarie;

-pubblicità di algoritmo e funzioni statistiche;

-algoritmo ispirato alla migliore letteratura scientifica;

-impossibilità di attribuire un valore superiore a quello di mercato;

-invarianza di gettito non solo come generica petizione di principio, ma come dato effettivo che, Comune per Comune, il Governo è periodicamente chiamato a dimostrare davanti alle Commissioni parlamentari;

-apertura alla tutela anche giurisdizionale del contribuente.

A parte il primo punto (la partecipazione dei rappresentanti dei proprietari alle Commissioni: cosa pretesa e ottenuta l’estate scorsa dalle Commissioni), su tutti gli altri punti si susseguono da settimane  (senza smentita) indiscrezioni giornalistiche assai lontane dai criteri della legge. Occorre dunque chiarire preventivamente che non sarebbe accettabile l’elusione o peggio il tradimento di quei paletti fondamentali.



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