Nuovo rinvio per il decreto contro il jihadismo islamico. Il provvedimento, per la seconda volta in pochi giorni, slitta al prossimo Consiglio dei ministri, in programma mercoledì prossimo. Ma perché il testo sta avendo un percorso così burrascoso, che da dura ormai da settimane, se non da mesi?
I NODI PRINCIPALI
Sono sostanzialmente due – scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera – i nodi che non si riesce a sciogliere: “L’organizzazione della procura antiterrorismo e i poteri da assegnare agli agenti segreti“. Controversa, prosegue il quotidiano di Via Solferino, “appare anche la concessione delle cosiddette «garanzie funzionali» — sia pur per un periodo limitato di un anno — agli uomini degli apparati di intelligence. In particolare il testo preparato dai capi degli uffici legislativi di Interno, Giustizia, Difesa e Palazzo Chigi, prevede la possibilità di effettuare colloqui con i detenuti — sempre autorizzati dal procuratore generale — «al fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti». E quella di utilizzare l’identità falsa «di copertura» anche in caso di testimonianza di fronte all’autorità giudiziaria“. Vi sono poi ostacoli puramente politici. “Anche se si trovasse l’accordo per andare avanti con procedura d’urgenza, c’è il timore che l’elezione del nuovo presidente della Repubblica crei problemi e spaccature all’interno della maggioranza e questo metta in pericolo l’eventuale conversione in legge del provvedimento che deve avvenire entro 60 giorni. E ciò – conclude la Sarzanini – creerebbe gravi danni, tenendo conto che le nuove norme prevedono l’introduzione di un reato specifico per punire chi organizza viaggi all’estero per l’addestramento dei seguaci della jihad. E dunque non si può rischiare di contestare un illecito che dopo due mesi non esiste più“.
I PASSI IN AVANTI
I colloqui dell’ultima settimana – riporta Francesco Grignetti sulla Stampa – hanno permesso di limare il testo del decreto in gestazione.
“Pressoché caduta l’ipotesi di autorizzare un agente ad ingannare la magistratura, restano i permessi di soggiorno in premio ai collaboratori stranieri dell’intelligence; i colloqui investigativi in carcere, previa autorizzazione del Procuratore generale di Roma e limitatamente al 2015; un’estensione del novero di reati che possono essere commessi su ordine del presidente del Consiglio o del sottosegretario delegato. Finora erano reati davvero minimi. Ora ci si avvia a rendere possibile, e senza patemi dal punto di vista penale per lo 007 infiltrato, la partecipazione ad associazioni sovversive o associazioni a delinquere“.
Pare però, ha sottolineato giorni fa sul Messaggero Silvia Barocci, che “il ministero della Giustizia abbia espresso molte perplessità sulla possibilità di permettere agli uomini dei servizi segreti di effettuare colloqui con detenuti per acquisire informazioni utili alla lotta contro il terrorismo internazionale”. Ecco perché la soluzione migliore rimane quella di una norma “a tempo”.
LE SPACCATURE
Sul Giornale è il reporter Gian Micalessin a spiegare come ci si trovi di fronte a “una guerra che spacca trasversalmente istituzioni, governo e Partito Democratico“. Da una parte, scrive, “ci sono il sottosegretario Marco Minniti e tutti coloro convinti della necessità di conferire ai servizi segreti nuove e più autentiche competenze nella lotta al terrorismo funzioni analoghe a quelle di Stati Uniti e Regno Unito. In mezzo c’è chi propone un coordinamento tra magistrati e “servizi” articolato attraverso una superprocura modellata sull’esempio della Central Authority del Regno Unito, delegata a mantenere i rapporti con le altre forze di sicurezza all’interno dell’Unione europea. In fondo – a far da catenaccio – le forze del Pd e del governo più vicine a quella magistratura convinta di dover difendere a tutti i costi il monopolio dell’azione penale”.
RISORSE E PERSONALE
Ma non è tutto. Per Giancarlo Elia Valori, intervenuto su Formiche.net, ci sono altri due elementi che bloccano il decreto: la richiesta di maggiori fondi e personale da parte dei Servizi e l’espansione del perimetro delle agenzie, con la possibilità che queste – pur riferendo sempre alla politica – abbiano una maggiore autonomia decisionale. “Il Servizio deve, come ora non può accadere, gestire scelte e decisioni che, coperte dai Ministri competenti e dal Presidente del Consiglio, sono il risultato di una autonoma scelta geopolitica e strategica del Servizio. Altrimenti, l’accademizzazione delle nostre Agenzie le renderà sempre più deboli e ricattabili“. Forse, Palazzo Chigi, non la pensa allo stesso modo.
COSA CONTIENE IL DECRETO
Il pacchetto con le nuove misure preparato dai tecnici del Viminale, in collaborazione con il ministero della Giustizia, prevede il rafforzamento degli strumenti di prevenzione e repressione del terrorismo tra cui alcune modifiche normative con l’inasprimento delle pene, fino a un massimo di dieci anni di carcere, per i foreign fighter, coloro cioè che, con passaporto occidentale, vanno a combattere nei teatri di guerra. Giro di vite anche per i reclutatori dei combattenti e per chi li addestra a compiere atti terroristici.
Non solo. Nel decreto, come confermato questa mattina a Formiche.net dal vicepresidente del Copasir, il senatore Giuseppe Esposito (Ncd), sono attese alcune delle richieste fatte dal comitato al governo, ribadite ieri al termine di un’audizione del direttore generale del Dis, l’ambasciatore Giampiero Massolo. Tra queste, più fondi, nuove attrezzature informatiche tali da permettere i migliori risultati possibili nel contrasto alle cyber minacce e garanzie funzionali per gli agenti della nostra Intelligence impiegati sotto copertura nella lotta al terrorismo internazionale, anche grazie all’assunzione di “nuovo personale da impiegare fin da subito nelle operazioni più delicate“.
UN ITER FATICOSO
Come spiegato nei giorni precedenti da Formiche.net, le nuove misure anti-terrorismo – resesi ancor più necessarie dopo la strage di Parigi e le numerose minacce a Roma e al Vaticano -, stanno avendo un iter faticoso (qui la cronistoria del provvedimento).
Il decreto legge venne annunciato tre mesi fa dal ministro Angelino Alfano. Nella ricostruzione di Formiche.net, il titolare del Viminale, nel corso di un seminario organizzato dal Centro studi americani il 10 ottobre 2014, annunciò una misura imminente di contrasto al terrorismo. Poi il governo, secondo un’indiscrezione riportata sul Sole 24 Ore da Marco Ludovico, ritenne che – per motivi tecnico-giuridici -, la formula migliore non fosse quella del decreto, bensì quella del disegno di legge, allungando ulteriormente la gestazione del provvedimento.