Il discorso d’investitura pronunciato questa mattina a Camere riunite da Sergio Mattarella è stato sicuramente un esempio eloquente di quanto i padri costituenti, che scrissero la Costituzione entrata in vigore nel 1948, avrebbero voluto sentire da un presidente. Un eloquio sobrio, asciutto, ma pieno di sentimento e di provata assuefazione etica e giuridica al ruolo che oggi è richiesto al capo dello Stato. Non a caso, per un momento si è avuta l’impressione che gli antichi e i nuovi rancori fossero pacificati sotto le parole alte e solenni diffuse nell’emiciclo, che tutte le inimicizie fossero, in fondo, molto relative.
D’altronde, era il momento della concordia, che certo non durerà a lungo purtroppo.
Ciò nonostante, l’esperienza e la dimestichezza profonda con i temi toccati sono stati ritagliati in una cornice semplice, realistica, comprensibile, un insieme di espressioni sentite e condivise con la gente comune, con i problemi e le speranze degli italiani.
In primo luogo attenzione per l’unità nazionale, incarnata dal presidente della Repubblica, che Mattarella ha voluto enucleare senza la retorica della bandiera e senza l’enfasi dossettiana di una missione enfatica e alla fine estemporanea e moralistica delle leggi: si tratta di “un’unità che lega i territori”, vale a dire la concreta vita delle persone, dei cittadini, di ogni età, al cuore della nazione. Poi, l’accento al ruolo che oggi la gente si attende dalle istituzioni, dopo la struggente crisi economica, che deve esplicitarsi non tanto in appartenenze retoriche ma in vicinanza con i problemi e con le difficoltà materialmente vissuti dalle persone.
Quello che emerge come idea centrale e dominante è il compito dello Stato, rivisitato in un’ottica sì costituzionale ma anche e soprattutto storica ed epocale. La sfera pubblica deve costituire una base solida in grado di assicurare, con la sua struttura, i suoi poteri, le sue funzioni, l’inossidabile punto di partenza per l’ampliarsi della democrazia e della libertà. Per questo vi è una necessità così grande di portare a termine le riforme istituzionali che snelliscano, senza scardinare ma rafforzandone il valore, il significato dello Stato quale strumento di espansione e di realizzazione di un popolo libero e in rapido cambiamento.
L’Unione europea, in questo contesto, ha per Mattarella un valore specifico perché svolge a livello continentale e transnazionale quello che lo Stato deve realizzare a livello ”locale”, ossia garantire e rendere possibile la democrazia, e non sostituirsi o dominarne le dinamiche interne e le fisiologiche evoluzioni dei popoli.
Il riferimento ai giovani parlamentari, che di per sé simboleggiano un avvicinamento plastico tra chi rappresenta e chi è rappresentato, sono, al pari delle nuove forme di raffigurazione sociale del legame comunitario, gli assi su cui ruota la democrazia odierna. E il ruolo del capo dello Stato è di essere arbitro e non giocatore, vale a dire di rendere possibile la partita e non di parteciparvi, di osservare e mantenere il tutto intatto nella legalità, senza accelerare o frenare i processi storici in corso.
Particolare rilievo hanno avuto, in questo quadro d’insieme, i valori che Mattarella ha utilizzato per designare la Costituzione e il suo senso: essi invitano a riconoscere i diritti del lavoro, a valorizzare i tesori artistici, a promuovere la pace, a soccorrere i malati, eccetera.
Tutto ciò vuol dire per Mattarella una chiara indicazione di un ordine democratico che ha nel preciso ruolo dello Stato il suo fondamento e la sua condizione di possibilità. Un obiettivo questo che non è mai possibile senza la memoria dei drammi e senza la ricostituzione del patto sociale che stanno alla base della convivenza civile tra le persone: cittadini, appunto, di una medesima patria, che intende vivere insieme i propri destini, e difendersi dai nuovi nemici nazionali e internazionali.
Combattere la mafia e la corruzione, difendersi dal terrorismo che minaccia, vuol dire lasciarsi guidare dalla forza che hanno gli altri, dalla potenza del volto di chi dona, soffre, cerca e si sforza di contribuire al bene comune, e magari non ce la fa, rimane indietro e non può essere dimenticato o abbandonato, e che ha bisogno di essere difeso contro chi vuole imporsi con la violenza, il sopruso e le armi.
Un discorso classico, ma singolare, quello di Mattarella, che sembra aver voluto dare una precisa indicazione del futuro, dal punto di vista di un Paese come l’Italia assolutamente unico, facendo, per la prima volta, appello ad un’idea chiara e forte di Stato che resti non confinato nella vuota restrizione burocratica, ma neanche diventi terra di conquista per parziali e miopi interessi individuali.
Quando lo Stato è saldo nel suo presidente, in quello che è e deve essere, allora ogni riforma è possibile, ogni innovazione benvenuta, qualsiasi dialettica necessaria al progresso della democrazia una risorsa positiva.
È stato detto, da più parti, che Mattarella ha puntato sull’equilibrio. Vero. Forse bisognerebbe aggiungere che ha mirato al recupero del portato autentico dell’autorità politica e istituzionale, garanzia necessaria di libertà comunitarie e di sviluppo culturale ed economico del Paese.
Dopo aver ascoltato le sue parole, si può essere perlomeno certi che a guidare le istituzioni c’è un uomo che ha compreso a fondo non soltanto la lettera ma anche lo spirito popolare e democratico che la Costituzione assegna a governo, parlamento e magistratura. Il resto è e deve restare affidato alle libertà. Perciò ogni discussione ora è confinata nello spazio giusto e sarà valutata dal Quirinale in funzione di quanto può dare o togliere alla reale ed effettiva crescita morale del popolo italiano. Chi a orecchi per intendere, intenda.