Recentemente è stato chiamato alla responsabilità di Presidente Inps Tito Boeri, professore bocconiano. Nulla da eccepire sul curriculum professionale del prof. Boeri, anche se logica ed esperienze pregresse (professori Monti e Fornero, su tutte) avrebbero forse consigliato che alla presidenza Inps fosse individuata una personalità di ampia e consolidata esperienza e competenza in campo manageriale e politico-sociale.
A riprova di quanto anzidetto, sottolineo come il prof. Boeri si sia affezionato ad una sua vecchia ipotesi di taglio sulle pensioni retributive, ancora ribadita con interviste a giornali quotidiani solitamente attendibili (Il Sole 24 Ore; Il Corriere della Sera) anche dopo la sua nomina alla Presidenza Inps.
L’ipotesi anzidetta, non meglio precisata, consisterebbe nel ricalcolare le vecchie pensioni liquidate con il meccanismo di calcolo retributivo, secondo la normativa in vigore, applicando ad esse (ora per allora) il meccanismo di calcolo interamente contributivo: sul differenziale tra pensione retributiva reale (verosimilmente di importo maggiore) e pensione contributiva teorica, circa il 20% verrebbe sottratto ai legittimi percettori delle pensioni retributive in atto per essere destinato in modo permanente ad alimentare un “Fondo di solidarietà intergenerazionale” finalizzato a corroborare le anemiche pensioni dei futuri pensionati soggetti al meccanismo di calcolo contributivo (cioè i dipendenti assunti dal 1/01/1996 in poi).
Il nuovo calcolo dovrebbe riguardare solo le pensioni retributive superiori ad un certo importo (2.500-3.000 € lordi/mese) e dal taglio operato dovrebbe derivare un risparmio sulla spesa previdenziale di circa 4 mld di €/anno, sempre secondo il prof. Boeri. Ritengo l’ipotesi in questione del tutto peregrina e la stima dei risparmi indotti una “spacconata alla Renzi”.
Proviamo ad argomentare le ragioni che rendono tecnicamente impossibile e giuridicamente illegittima l’ipotesi Boeri prima illustrata. Innanzitutto per ricalcolare le pensioni retributive in godimento (in particolare nel pubblico impiego) applicando ad esse il calcolo contributivo, bisognerebbe conoscere nel dettaglio tutti i contributi (anche risalenti a 50-60 anni fa) versati in capo ai singoli pensionati durante la loro pregressa vita di lavoro, cosa impossibile e velleitaria anche tenendo conto, per le professioni sanitarie, che è stato modificato nel tempo l’assetto giuridico dell’ente datore di lavoro (enti ospedalieri, USL, ASL, ecc.).
E, poi, individuati i contributi personali versati, andrebbero applicati le rivalutazione sui montanti ed i coefficienti di trasformazione, anch’essi mutati nel tempo: tutte cose, dal punto di vista attuariale, pressoché irrealizzabili.
Ma dove ancor più stride l’ipotesi Boeri è sul piano della legittimità e costituzionalità di un simile intervento previdenziale. Verrebbero infatti calpestate non solo generiche “aspettative previdenziali”, ma proprio i diritti acquisiti e consolidati dei pensionati in questione, passando sopra ad una serie impressionante di principi costituzionali, sanciti dagli artt. 3, 36, 38, 53 e 97 della nostra Costituzione.
L’ipotesi in esame non solo discriminerebbe all’interno di omogenee categorie di pensionati con diversa misura di pensione, ma comunque di tipo ugualmente retributivo, ma avrebbe anche una natura impropriamente tributaria (poco importa se con l’obiettivo di ridurre la spesa o, indirettamente, di realizzare un maggior gettito), pur non avendo la necessaria generalità e progressività richieste in ambito fiscale dall’art. 53 della nostra Carta.
Anche qualora si volesse negare all’intervento ipotizzato sulle pensioni retributive natura tributaria, esso avrebbe sostanzialmente natura espropriativa, dal momento che si verrebbe a determinare una vera e propria ablazione di diritti formanti oggetto di diritti quesiti, atteso che la pensione, al termine di una vita di lavoro e delle relative contribuzioni, non è altro che una “retribuzione differita”.
Sarebbe bastata al prof. Boeri una lettura attenta delle sentenze della Corte costituzionale nn. 30/2004, 316/2010, 223/2012 e 116/2013, per non avventurarsi in ipotesi tanto bislacche, infatti sono piovute in capo ai vari legislatori in materia previdenziale altrettante censure da parte dei giudici costituzionali laddove sono stati intaccati i principi di adeguatezza delle pensioni, di rispetto dei diritti quesiti, di ragionevolezza e proporzionalità, ecc.
Ed è da notare come le pronunce anzidette riguardassero le questioni di momentaneo mancato adeguamento delle pensioni rispetto agli insulti inflattivi, ovvero di blocco temporaneo degli incrementi retributivi dei pubblici dipendenti, questioni certamente meno gravi di una decurtazione permanente della pensione di diritto, correttamente liquidata secondo le regole nel tempo vigenti.
Quanto poi ai mirabolanti risparmi promessi (4 mld/anno), essi sono manifestamente sovrastimati visto che comunque le pensioni oltre i 2.500-3.000 € lordi /mese sono la stragrande minoranza e che la decurtazione del 20% circa del differenziale tra pensione retributiva reale e pensione contributiva virtuale non sarebbe di misura troppo rilevante, laddove si eseguissero correttamente i calcoli e venisse contabilizzato l’intero apporto contributivo.
Ma anche qualora si volesse considerare lodevole l’obiettivo di rendere più adeguate le pensioni contributive del prossimo futuro, tale risultato non può essere realizzato togliendo agli attuali pensionati i diritti acquisiti attraverso una lunga e continuativa vita di lavoro e di contribuzioni.
In realtà le future pensioni contributive, il cui tasso di sostituzione appare effettivamente inadeguato, portano con se il difetto di origine della legge Dini (L. 335/1995), con i peggioramenti introdotti dalla legge Fornero (L. 214/2011) e per migliorarle bisogna apportare rimedi veri, quali:
– favorire l’occupazione piena ed incrementare i livelli contributivi dei lavoratori;
– rivalutare i montanti contributivi in modo effettivo, non mediante il ridicolo parametro della variazione del PIL quinquennale;
– incrementare i coefficienti di trasformazione;
– se non bastasse, anche mediante l’incremento delle aliquote contributive.
Sappia il prof. Boeri che negli ultimi 9 anni (2008-2016) i pensionati italiani con assegno oltre 3-5 volte il minimo INPS hanno visto bloccati (in modo totale o parziale) i meccanismi di indicizzazione delle loro pensioni per 6 anni (66% dell’intero periodo), il che comporta una perdita cumulata e permanente del potere d’acquisto della pensione in godimento di non meno del 15-20%, se si tiene conto anche del contributo di solidarietà.
Come vedete, i pensionati hanno “già dato”, ed in misura ben maggiore dell’ipotizzato taglio del 20% del differenziale tra pensione retributiva reale e pensione contributiva virtuale.
Prossimamente la Corte costituzionale si pronuncerà ancora (10 marzo 2015) sulla legittimità dei tagli alle pensioni introdotti dalla legge Fornero, ma io spero ardentemente che questa volta sia il neo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a fare da barriera (attraverso la mancata apposizione della sua firma) ad eventuali ulteriori scorribande legislative sulle pensioni in godimento, infatti se alle parole di richiamo ai contenuti ed ai valori della Costituzione pronunciate nel “messaggio di insediamento” del 3/02/2015 non dovessero corrispondere i fatti, sarebbe la fine della pace sociale e dello stato di diritto del nostro Paese.
Ci saremmo aspettatoiche il prof. Boeri, all’esordio di un incarico così impegnativo come la Presidenza Inps, avesse almeno accennato (anziché ad ipotesi peregrine di riforma delle pensioni) ai seguenti obiettivi prioritari:
– distinguere nettamente la gestione previdenziale da quella assistenziale in capo allo stesso Istituto;
– razionalizzare l’impiego delle risorse umane dell’Istituto, contenere i costi di gestione, assicurando altresì ai singoli pensionati periodiche comunicazioni di aggiornamento sulle voci dell’assegno pensionistico in godimento;
– grande trasparenza di gestione, chiarezza contabile, pubblicità dei bilanci, legando altresì le retribuzioni dei dipendenti ai risultati conseguiti;
– riformare drasticamente pensioni e vitalizi frutto di privilegi, non di diritti maturati con lavoro e contributi;
– lotta senza quartiere alle false pensioni di invalidità ed all’evasione contributiva, ecc.
Dagli interventi anzidetti potrebbero sì ricavarsi 4 mld e più di risparmi in campo previdenziale ed assistenziale, senza ricorrere ad ingiustizie e commettere illegittimità.
Peraltro un articolo a propria firma su un quotidiano, od una comparsa televisiva, rendono di più, anche in termini di immagine, ed impegnano di meno.
E tuttavia è proprio di serietà ed impegno che ha bisogno, oggi più che mai, il nostro Paese.
Michele Poerio – presidente FEDER.S.P.eV.
Carlo Sizia – Comitato direttivo FEDER.S.P.eV.