Non solo Cantone. Dopo il numero uno dell’autorità anti-corruzione (Anac), l’uomo che Matteo Renzi vorrebbe ovunque – ha persino indicato il nome di Raffaele Cantone come possibile candidato al Quirinale –si è creata una squadra di “commissari”, figure necessariamente spigolose, un po’ temute ma anche un po’ invidiate, adatte – per storia e rigore personale – ad intervenire laddove l’opacità deve finalmente lasciare il posto alla trasparenza. E a svettare in questa particolare lista di “discontinuatori”, cioè di uomini pronti a creare una frattura decisa tra un passato grigio e un presente senza ombre, è sicuramente Luigi Magistro, da poche settimane nominato (insieme a Francesco Ossola, architetto e professore al Politecnico di Torino) commissario del Consorzio Venezia Nuova, il raggruppamento di imprese incaricato di realizzare il Mose.
Napoletano, classe 1959, già colonnello della Guardia di Finanza (strategico il suo ruolo, a Milano, durante Mani Pulite) e capo degli ispettori del fisco (era il numero due di Attilio Befera), ultimamente al vertice dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli (incarichi da cui si è dimesso dopo la nomina a commissario), Magistro è la classica figura di servitore dello Stato che quando nelle pieghe dell’amministrazione c’è qualche matassa da sbrogliare, qualche poltrona che scotta da occupare, il suo nome viene sempre fuori. Ed è stato così anche per quest’ultimo incarico che, tramite Cantone, ha avuto. Serviva un’immagine nuova per l’opera veneziana “del grande scandalo”, e l’ex colonnello della Finanza è stato il naturale prescelto.
D’altra parte, tutte le tappe della brillante carriera di Magistro sono intrecciate con le vicende più delicate degli ultimi 30 anni della Repubblica. Lui, vent’anni in Guardia di Finanza, ha il carattere quadrato dell’uomo in divisa, ligio alle regole e fedele agli obiettivi, ma la classica flessibilità partenopea di chi sa adattarsi a nuove situazioni. Sguardo indagatore, nel suo parlare lento e ponderato, tipico di chi è cresciuto nelle istituzioni, pesa ogni parola, valuta ogni reazione, con l’incedere di chi ne ha viste tante e cerca sempre di prevedere le possibili conseguenze. E il suo curriculum non ufficiale elenca tante battaglie all’interno delle amministrazioni dello Stato. A lungo è stato il braccio armato di Gherardo Colombo, anche prima che diventasse uno dei protagonisti dell’inchiesta su Tangentopoli. Su sua indicazione nel 1980 Magistro entra nell’ufficio di Gianni Letta al Tempo, quotidiano di proprietà della famiglia Angiolillo di cui era direttore prima di diventare l’eminenza grigia del ventennio berlusconiano. Dodici mesi dopo conduce le Fiamme Gialle al ritrovamento delle famose liste della P2 in un’azienda di Licio Gelli. Alle sue ambizioni investigative si affida il pool di Milano nel 1992. Compito primario: portare avanti le indagini più delicate. Compito secondario: non parlarne nemmeno ai superiori. Magistro accetta, ma diventa inviso a molti, a cominciare dal capo del Nucleo di Milano, il generale Giuseppe Cerciello, che lo sposta ad incarichi secondari. Passano gli anni e arriva la resa dei conti. Nel 2000 Cerciello viene condannato per 21 episodi di corruzione a 12 anni (la pena più altra tra i 2600 indagati di Mani Pulite). Nel 2001, invece, Magistro viene scelto da Vincenzo Visco per dare la caccia al sommerso delle grandi aziendeall’Agenzia delle Entrate. Poco dopo al Ministero dell’Economia inizia poi l’era Tremonti, e per Magistro diventa un vero e proprio 007. L’ex colonnello assurge al ruolo di Direttore della Centrale Audit e Sicurezza interna: deve controllare i controllori. Per farlo punta al rafforzamento del sistema informatico, lavorando per eliminare buchi e imperfezioni che possano permettere con qualche click di cancellare multe, prove, accertamenti. Una tattica che è parte integrante della più ampia strategia con cui Magistro vuole affrontare l’avvento dell’era digitale:usare la grande massa di informazioni che la tecnologia mette a disposizione. Tanto che lo 007 del fisco, una volta giunto alla Direzione Centrale Accertamento dell’Agenzia delle Entrate, mette in rete le banche dati, escogita la prima bozza del redditometro e si batte per l’accesso ai dati bancari. Misure impopolari, certo, ma efficaci,se è vero che è triplicato il recupero dell’evasione.
Secondo Magistro, se si somma il sommerso, le persone fisiche, le imprese, “in Italia ci sono 10 milioni di evasori”. Consapevole però dell’esistenza di “un’evasione di sopravvivenza”, per anni la sua parola d’ordine è stata puntare sulle grandi aziende, quelle che superano i 100 milioni di fatturato. E non sarà un caso che cinque grandi banche ad inizio 2012 hanno pagato circa un miliardo per questioni fiscale. Magistro fa però anche un sano esercizio di pragmatismo quando dice che “certe volte le cartelle di Equitalianon le capisco nemmeno io”, e che lo strumento migliore è la deterrenza.
Schiva i palcoscenici, se la prende con chi “parla a schiovere”, come si dice a Napoli. Per lui tutti i discorsi sulla privacy dei contribuenti in merito al controllo dei conti correnti sono senza fondamento. “Non controlliamo gli estratti conti mensili”, dice, “ma la coerenza tra il dato elaborato e il reddito dichiarato”. A Magistro non piace la stampa che monta la panna, la evita e talvolta se ne lamenta. “Si è fatto clamore sul blitz a Cortina, ma nell’estate precedente abbiamo fatto 20 operazioni analoghe in località turistiche. Semplicemente, con la crisi c’è una percezione diversa degli evasori da parte dei contribuenti onesti”. Si dice sia un appassionato cercatore di funghi sui monti dell’Appennino. A ben pensarci, vagare tra i boschi alla ricerca di qualche muffa coperta dalle foglie e nascosta dal terreno umidiccio, evitando i veleni, vigilando sui pericoli esterni, è una similitudine perfetta di quella che è la caccia all’evasione fiscale in Italia.
Sarà dunque per questa sua capacità di adeguarsi ai contesti più difficili che nel 2012 approda ai Monopoli di Stato. Obiettivo hard: ripulire il miliardario settore del gioco da alcune infiltrazioni criminali. Fino al 2003, infatti, era il far west. Adesso il Consorzio Venezia Nuova. Obiettivo non meno hard: sì trasparenza, sì pulizia, ma anche finire l’opera nei tempi previsti e spendendo meno possibile. E, cosa ancora più difficile, riconciliando i veneziani e tutti gli italiani con il Mose, facendo loro capire che serve davvero a salvare la città più bella del mondo e la sua laguna.Cantone dice a tutti che ha piena fiducia in lui. E lui, come sempre, si è rimboccato le maniche.