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Perché l’uscita della Grecia dall’euro sarebbe una follia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La risoluzione della questione greca, punta di un iceberg dalle immane dimensioni, non è affatto a portata di mano. La posta in gioco è così alta da non consentire, allo stato, soluzioni con graduazioni di grigio, in un quadro in cui continuano ad esser presenti più zone d’ombra che non di luce.

Se le ragioni della nuova e inedita maggioranza greca non possono essere banalmente sintetizzate e ridotte ad una mera necessità propagandistica, non è altresì irragionevole sostenere che il Paese ellenico debba rispettare in larga parte gli impegni assunti che hanno comportato l’elargizione d’imponenti aiuti finanziari per far fronte a una situazione economica devastante, conseguenza diretta di una manipolazione dei conti pubblici e di una spesa fuori controllo.

Tsipras, che rilancia un nuovo corso iper keynesiano, vuole rispettare la promessa elettorale di abbandonare la strada dell’austerità invertendo la rotta e rilanciando politiche di crescita e di sviluppo (di cui però non si conoscono ancora i contorni ed i contenuti) affinché il piano rientro abbia un impatto soft.

Fin qui, nulla da obbiettare. Anzi, senza un cambio di rotta, il rimborso del debito ed il riordino dei conti di Atene rischia di diventare nella migliore delle ipotesi una mera utopia e nella peggiore un massacro sociale e l’alba di una nuova crisi per l’intera Europa.

Ma il leader e il governo greco non possono non tenere conto che esiste, pur nella legittimità di modificare le linee politiche, una continuità negli impegni assunti da uno Stato indipendentemente dalle maggioranze, ma soprattutto, non possono ignorare l’impatto devastante che avrebbe sul resto d’Europa la scelta di imperio ed unilaterale di derogare tout court dagli impegni assunti senza la predisposizione di una credibile strategia.

Il rischio che altri Paesi europei innanzi a una simile scelta seguano il modello greco è molto alto e ciò comprometterebbe la stabilità dell’intera eurozona, già costantemente a rischio, e di ciascuno dei diciassette paesi membri.

E’ questa una posizione che il resto d’Europa, compresa la stessa Italia, non può sostenere e che minerebbe alla base il crescendo di voci di quanti sostengono la necessità di una revisione profonda delle politiche economiche e di bilancio e delle regole di governance della Ue.

Un’uscita della Grecia dall’euro non è poi nell’interesse di nessuno. Non gioverebbe di certo ai cittadini greci che, di fatto, si allontanerebbero dalla stessa Unione europea, né tantomeno dell’eurozona che si esporrebbe al rischio “domino” della crisi ellenica, ragione che, al di là delle dichiarazioni intrise di buonismo, spiega la necessità del prestito greco.

Serve quindi buon senso. La partita cui stiamo assistendo si gioca sull’orlo di un precipizio. Se l’intransigenza greca deve scontrarsi con la ragione e con le ragioni della comunità europea, i rigorismi comunitari, su tutti quello di Berlino, devono cedere il passo all’interesse europeo, all’interesse dei popoli ed ancor prima a quel principio di realtà di realtà da cui non bisogna mai discostarsi.

L’Unione europea dal canto suo, può e deve trarre dalla vicenda greca un’occasione di rilancio e uno stimolo in più per una profonda revisione delle sue regole di constituency. Non farlo, significa preparare il terreno a nuove ed ancor più devastanti “questioni greche”.

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