Una volta superata la vicenda del Quirinale – destinata comunque a produrre conseguenze rilevanti anche sul versante interno – la disordinata “armata” del centrodestra si sta preparando all’imminente scadenza regionale con evidenti tormenti politici e istituzionali.
Non si tratta soltanto di un fatto banale di alleanze locali difficilmente componibili con il quadro politico nazionale.
Anche nel corso della Prima repubblica, il sistema delle alleanze locali finiva con l’incidere sempre sul contesto nazionale, come ricorda chiunque pensi o alla vicenda della cosiddetta “Operazione Sturzo” di Roma, o alla sostanziale difficoltà di combinare un’alleanza nazionale di governo – come fu quella di centrosinistra realizzata dal PSI dall’inizio degli anni ’60 – con le alleanze locali che vedevano spesso il PSI medesimo alleato con il Partito comunista italiano, che rappresentava invece l’opposizione di governo di sinistra.
L’intreccio tra progetti nazionali e alleanze locali ha pertanto rappresentato una sorta di continuità istituzionale italiana sostanzialmente dovuto al fatto che i progetti politici erano e sono prevalentemente nazionali, laddove gli accordi locali – di amministrazione e di governo – costituiscono ancora oggi una sorta di applicazione degli stessi accordi nazionali.
Un’autentica cultura sturziana dovrebbe infatti condurre a far emergere in sede locale una situazione di prevalenza di orientamenti civici, lasciando soltanto alla dimensione nazionale una vera e propria operatività di partiti politici, destinati pertanto a essere nazionali e non anche locali.
Nel corso della Seconda repubblica – a sua volta – soltanto la straordinaria intuizione di Berlusconi ha consentito all’inizio di avere alleanze variabili al Nord e al Sud del Paese. Ma si è trattato di un processo che è andato via via scemando, come dimostrano le divaricazioni sempre più evidenti tra il progetto nazionale della Lega di Salvini e quello oggi definito di Area popolare.
Questi due progetti tendono sempre più a divaricare la prospettiva stessa di una comune area politica definibile di centrodestra, proprio perché né l’uno né l’altro tendono prevalentemente ad una comune convivenza destinata a produrre risultati quasi esclusivamente in sede elettorale.
La progressiva rilevanza della dimensione europea – come dimostrano anche le ultime vicende di Tsipras – non consente infatti di guardare alla sola dimensione elettorale nazionale proprio perché comincia a delinearsi con sempre maggiore evidenza, da un lato, una vera e propria alternativa popolare al centrosinistra, e dall’altro, un’opposizione sempre più radicale a qualsiasi ipotesi di subordinazione nazionale agli orientamenti europei.
Appaiono pertanto non componibili né la prospettiva dell’originaria Forza Italia (formare alleanze da un lato con la Lega e dall’altro con i Popolari europeisti di Udc e Ncd); né una prospettiva compiutamente popolare che guarda all’integrazione europea fatta sostanzialmente di alternative di governo tra socialisti e popolari; né una prospettiva che intenda rigidamente affermare proprio la dimensione nazionale rispetto agli attuali processi di costruzione dell’Unità europea a livello economico, politico e sociale.
L’imminenza delle elezioni regionali finisce pertanto con il caratterizzarsi non solo per antichi grovigli tra orizzonti nazionale e locale, ma anche per l’evidente difficoltà di costruire una vera e propria alternativa di governo alla nuova centralità renziana.