“Per il momento non c’è nessun piano riguardante un intervento della Nato in Libia“. È netta la risposta di Douglas Lute, ambasciatore americano presso l’Alleanza atlantica, che smentisce l’ipotesi di un nuovo coinvolgimento militare dell’organizzazione nei destini di Tripoli.
IL CAOS LIBICO
L’ex generale, in visita a Roma nell’ambito di un tour europeo per sondare i progressi fatti dai partner dopo il vertice di settembre scorso in Galles, non ha dubbi: la soluzione alla crisi libica deve essere politica. “Non è escluso – spiega – che a seguito di un accordo tra le parti raggiunto grazie alla mediazione dell’Onu, la Nato possa invece contribuire, se le verrà chiesto aiuto, a soluzioni per mantenere la sicurezza” Ovviamente, ha aggiunto, “il mix di politica che non funziona, armi diffusesi dopo la caduta di Gheddafi e jihadismo è estremamente negativo” per l’ex regno del Ràis.
LA MINACCIA JIHADISTA
Il pericolo, già evidenziato, che lo Stato Islamico possa guadagnare rapidamente posizioni in Libia, arrivando a costituire un pericolo reale per un membro dell’Alleanza come l’Italia non viene sottovalutato dalla Nato, ma per il momento non preoccupa troppo. “La Nato osserva con attenzione ciò che accade sulle sponde nordafricane, ma temiamo maggiormente l’avanzata dell’Isis in Irak e Siria“. L’Europa, secondo l’ex generale,, dovrebbe essere più preoccupata “dei tanti foreign fighter con passaporto europeo, che dopo essersi formati in qualche campo terrorista o negli stessi teatri di guerra, potrebbero tornare e colpire nei loro Paesi d’origine“, come avvenuto a Bruxelles e Parigi.
LA CRISI DI KIEV
A occupare maggiormente Lute in questo periodo è invece la crisi ucraina. Il diplomatico intravede qualche elemento di speranza nel cessate il fuoco, deciso nuovamente a Minsk la scorsa settimana. “Stiamo assistendo a piccoli progressi anche se non lineari, come lo scambio di pochi prigionieri e un iniziale ritiro di armi pesanti“. Il quadro, tuttavia, potrebbe deteriorarsi rapidamente. “La Russia ha annesso unilateralmente la Crimea. Un atto illegale, di cui non si è discusso nei colloqui, ma che non dimentichiamo“. Uno degli elementi di attrito nei rapporti tra Usa e Unione europea è la possibilità che Washington possa armare Kiev a fini difensivi. Quale orientamento prevale alla Casa Bianca? “Obama – sottolinea l’ambasciatore – non ha ancora deciso in merito. Ovviamente qualsiasi scelta non può che prescindere da un coinvolgimento dei membri Nato e dei più stretti partner europei”. L’obiettivo primario, rimarca Lute, è non rompere l’asse tra Washington e Bruxelles, che sta dando buoni frutti. “L’effetto combinato del calo del prezzo del petrolio e delle sanzioni sta procurando a Mosca un grosso danno economico. Dobbiamo essere uniti. Gli ucraini devono poter scegliere da soli il loro destino, mentre i Paesi Baltici, componenti dell’Alleanza, devono potersi sentire al sicuro“, mentre ora temono l’aggressività russa. “L’articolo 5 dello Statuto dell’organizzazione lo dice chiaramente: ogni attacco a un Paese membro è un attacco a tutti gli altri Stati. Dobbiamo dimostrare che facciamo sul serio e che vogliamo mantenere la pace all’interno dei nostri confini“.
LE MOSSE DELLA NATO
Per questo la Nato, spiega il diplomatico, non abbassare la guardia sul tema delle spese militari e della condivisione di responsabilità, il burden sharing: “Ogni Paese deve contribuire in base alla propria situazione economica. Se l’economia non cresce è comprensibile non spendere il 2% del Pil, come stabilito, ma quantomeno non operare ulteriori tagli. Se vogliamo una Nato all’altezza delle sfide del presente e del futuro, non possiamo ridurne le risorse, ma semmai aumentarle“. Va in questa direzione la decisione, presa nel nel summit nel Regno Unito, di creare una forza di risposta rapida (Nrf), capace di essere dispiegata in poco tempo in caso di minacce, nonché alcune strutture di comando e controllo sul versante orientale. “Ci approcciamo a un altro vertice, quello di Varsavia, che si terrà a metà del 2016. Siamo ormai nella terza fase vissuta dalla Nato. La prima ha riguardato la Guerra Fredda. La seconda è stata una fase operativa con le tante missioni in Kosovo e Bosnia ad esempio, iniziata dalla caduta del Muro di Berlino. Oggi si assiste invece a un ritorno alle origini, però con un importante mutamento: prima, come in Afghanistan, era ben chiaro l’impegno a cui sarebbero stati sottoposti i nostri soldati. Le missioni avevano un tempo prefissato. Ora lo scenario è incerto” e bisogna essere sempre pronti a reagire.
IL RUOLO DELL’ITALIA
In questo frangente, l’Italia è un partner fondamentale per Lute. “Apprezziamo il ruolo svolto dal Paese nei 65 anni di storia della Nato“. Un impegno che si rinnoverà con la disponibilità di Roma ad essere una delle “nazioni guida”, assieme a Francia, Germania, Polonia, Spagna e Gran Bretagna, nella rotazione prevista nel rafforzamento della forza di reazione della Nato, che passerà dagli attuali 13mila uomini a 30mila. “Non so – ha poi commentato – quale sia il numero di F-35 di cui debba dotarsi l’Italia. Rientra nelle scelte di un Paese sovrano. Nemmeno la Nato decide cosa una nazione debba acquistare, ma solo l’entità degli investimenti in Difesa che ogni Paese dell’Alleanza deve operare. Posso però dire che l’organizzazione avrà nel suo complesso grossi vantaggi dall’adozione dell’aereo” di Lockheed Martin. “In primo luogo perché avere un airframe comune, basato sul caccia di V generazione, comporterà l’aumento dei criteri di efficienza, portando grossi risparmi. L’Italia lo sa bene – conclude Lute – visto che ospiterà uno dei pochi centri di manutenzione del velivolo“.