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Libia, i piani russi di Renzi funzionano?

Il viaggio di Matteo Renzi alla corte di Vladimir Putin è servito per sbrogliare la matassa libica? È quello che si chiedono osservatori e addetti ai lavori.

A distanza di pochi giorni da quell’incontro, il conflitto nella nazione nordafricana si è mostrato nuovamente per quel che è: una guerra tra bande – islamisti da un lato, governo legittimo dall’altro – nella quale l’Italia è chiamata a prendere posizione. Ma malgrado le pressioni, Palazzo Chigi ha inviato nuovamente un segnale di neutralità, incontrando oggi a Roma l’inviato speciale dell’Onu, Bernardino Leon, che porta avanti la poco fortunata trattativa tra le fazioni che si contendono il Paese.

LE RICHIESTE DEL GENERALE

Una volta, scrive Alberto Negri sul Sole 24 Ore, c’era “la Libia di Muammar Gheddafi con le sue pretese assurde, adesso sale alla ribalta quella di un suo generale ripudiato, Khalifa Haftar, che chiede all’Italia di schierarsi con Tobruk“. Il militare, figura controversa e in passato uomo del Ràis, ha chiesto di affossare la mediazione delle Nazioni Unite e – aggiunge il quotidiano confindustriale – “liberare il suo esercito dall’embargo internazionale di armi, promettendo in cambio di spazzare via il Califfato e rimettere in vigore i vecchi trattati sull’immigrazione clandestina“. Il generale è convinto di poter vincere militarmente la guerra con Tripoli. “Se ci appoggiate – è il ragionamento di Haftar sintetizzato da Negri – sistemeremo la Libia e liquideremo l’immigrazione, altrimenti l’Italia passerà per uno sponsor degli islamisti e del caos“.

I RISCHI DEL PIANO HAFTAR

Si tratta tuttavia di una promessa non credibile, commenta a Formiche.net Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra. “Haftar non controlla nemmeno il 40% delle coste libiche e certamente non una porzione rilevante di quelle da cui partono i barconi“. Il problema vero, spiega l’esperto, è semmai la distanza sempre più ampia tra ciò che si dice durante i negoziati e la situazione sul terreno, dove “entrambe le fazioni, divise al loro stesso interno tra falchi e colombe, continuano a chiedere armi e a dispiegare forze sul terreno“. Ad ogni modo Roma, è la versione di Toaldo, fa più che bene a non propendere per nessuna delle due parti. “Avremmo ancora più guerra e più immigrazione incontrollata, perché i rifugiati che arrivano sulle nostre coste lasciando la Libia, lo fanno a causa del conflitto. Un anno di guerra ha inoltre dimostrato di essere un brodo di coltura perfetto per lo Stato Islamico“.

I PIANI DI RENZI

Un migliore contrasto al Califfato nero e l’eliminazione delle sue minacce alla Penisola, erano tra gli argomenti toccati da Renzi nel suo incontro Putin la scorsa settimana. Il premier è convinto che la Russia non vada isolata ma coinvolta nella lotta al terrorismo, così come nella soluzione della crisi libica, nella quale il presidente del Consiglio italiano vorrebbe assumere il controllo della leadership diplomatica. Nell’ex regno di Gheddafi, Putin può esercitare una forte pressione su attori fondamentali come Turchia e soprattutto Egitto (Il Cairo è uno sponsor di Haftar), con i quali ha intensificato i rapporti. E l’Italia trarne un vantaggio. Tuttavia, qualcosa pare non aver funzionato, come testimonia il “ricatto” del generale vicino al governo di Tobruk. Sostenere Haftar, rimarca Negri, significherebbe “avallare la spartizione della Libia tra Tripolitania e Cirenaica cominciata già all’indomani del 2011“. Un rischio forse troppo grande per i tanti interessi italiani nel Paese nordafricano.



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