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Ecco tutti i vantaggi del deposito nazionale di scorie radioattive

Agosto. È il termine entro il quale il governo italiano dovrà presentare all’Unione Europea un Programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi, il più possibile dettagliato per costi, infrastrutture, obiettivi. Per questa ragione le istituzioni coinvolte nella costruzione del Deposito nazionale di scorie legate alle ex centrali nucleari, alle attività industriali e alla ricerca medica hanno previsto un calendario scandito da tappe ben precise.

Le tappe per scegliere il sito

A inizio gennaio la Società Gestione Impianti Nucleari ha consegnato all’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale la proposta di Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il sito per lo smaltimento del materiale tossico. Testo che ha escluso molte zone del nostro paese non in grado, per motivi geofisici, di garantirne la sicurezza.

Adesso spetterà alle istituzioni ministeriali un’analisi accurata in vista di una prima pubblicazione. Seguirà una consultazione con tutti i soggetti coinvolti, fondamentale per la condivisione dell’opera e per l’ufficializzazione del territorio individuato, che avrà un’estensione pari a 150 ettari.

Livelli differenziati di intensità delle emissioni

Nell’attesa di conoscere lo sbocco di un processo così delicato l’Ordine dei Giornalisti ha promosso a Roma in collaborazione con Sogin il convegno “Verso il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi: problema o opportunità?”.

Un tema che non riguarda esclusivamente l’attività delle ex centrali atomiche. A evidenziarlo è Emanuele Fontani, l’amministratore delegato di Nucleco, azienda del gruppo Sogin che affronta la raccolta e lo stoccaggio delle scorie. “Viviamo in un mondo pieno di radiazioni. Le sorgenti di emissione si trovano ovunque, anche nel corpo umano. E sono presenti in oggetti familiari come il parafulmine o i rilevatori di fumo”.

Naturalmente varia la loro intensità, che può essere fermata e confinata con una pellicola di carta o con una barriera di piombo. Il livello più ridotto è registrato in natura, quello medio nel terreno della ricerca medico-scientifica, il più elevato negli impianti nucleari. Ma nel corso del tempo la concentrazione di radioattività va a decadere e a dimezzarsi.

Concentrare e neutralizzare le scorie

Nel 1995, ricorda lo studioso, il legislatore ha posto l’attenzione prioritaria sulla salvaguardia del lavoratore e sulla tutela della popolazione e dell’ambiente per tutte le attività connesse a materiale nucleare. È stato stabilito che può ritenersi scoria radioattiva tutto ciò che non viene riciclato e riutilizzato: soprattutto carburanti contenuti negli ex impianti atomici e radio-farmaci impiegati per la diagnosi e terapia di patologie tumorali.

La strategia scelta dalle autorità italiane per trattare i rifiuti è la loro concentrazione in un luogo ben definito, per conservarle finché la pericolosità non è neutralizzata. Le procedure standard ne prevedono la raccolta, il trasporto, la riduzione di volume, la collocazione entro strutture a matrioska protette da almeno tre barriere per fronteggiare possibili fuoriuscite.

L’esigenza di un sito unico e all’avanguardia

Attualmente, ricorda il direttore del Deposito nazionale e Parco tecnologico di Sogin Fabio Chiaravalli, i rifiuti radioattivi sono presenti in 24 aree sparse in tutta Italia: ex centrali nucleari e impianti per la produzione di energia elettrica, centri di ricerca e siti di stoccaggio. Luoghi temporanei, che in taluni casi registrano gravi carenze in termini di sicurezza.

Il nostro paese, rimarca l’ingegnere, ha una necessità stringente di gestire le scorie in modo univoco, omogeneo e coordinato. E il Deposito nazionale centralizzato con alta tecnologia di controllo è fondamentale per raccogliere e mettere in sicurezza il materiale prodotto dalle ex centrali nucleari, nonché quello che verrà creato dal loro smantellamento.

Considerando i rifiuti delle attività industriali e biomediche, si raggiunge un volume complessivo di 90mila metri cubi, per il 60 per cento derivanti da fonti energetiche e per il 40 da sorgenti che non lo sono.

Come verranno smaltiti i rifiuti

Nel Deposito nazionale, che entrerà in funzione nel 2024, troveranno collocazione definitiva 75mila metri cubi di scorie con radioattività medio-bassa, destinata a decadere nell’arco di 300 anni.

L’area accoglierà in forma temporanea anche gli oltre 15mila metri cubi di rifiuti a elevata emissione e con tempi molto lunghi di esaurimento. Che verranno posti in contenitori di stoccaggio di massima sicurezza in attesa del loro deposito in un sito geologico sotterraneo.

I riflessi virtuosi del Deposito

L’impianto, rileva la ricercatrice del Politecnico di Milano Sara Boarin, costituirà “una realtà attiva in grado di creare e moltiplicare il valore scientifico-tecnologico ed economico-sociale sul territorio: Si stima che nella fase di gestione, prevista per 40 anni, verranno creati 700 posti di lavoro all’anno”.

Il cantiere durerà 4-5 anni e richiederà investimenti pubblici per 1,5 miliardi di euro, con un miliardo aggiuntivo per il Parco tecnologico. Realtà concepita per stimolare la ricerca applicata e l’insediamento di aziende innovative soprattutto nel campo della medicina nucleare.

Evitare un approccio emotivo

Emerge tuttavia un punto interrogativo che rischia di minare il progetto. Come reagiranno le popolazioni delle aree coinvolte?

A tentare di rispondere è Lorenzo Pinna, divulgatore scientifico e autore di SuperQuark: “La percezione dei rischi per la salute e l’ambiente è legata ai benefici che ricaviamo o attendiamo da un’innovazione. Ciò vale in modo emblematico per il tema del trattamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi”.

Il giornalista ritiene necessario che i cittadini trovino il tempo per analizzare e studiare i problemi pubblici: “Antidoto alla sindrome massificante della folla che alimenta e fa emergere le pulsioni emotive più irrazionali, mezzo efficace per allontanare i ciarlatani evocatori di pericoli vacui”.

Collaborazione e competizione per accogliere il Deposito

Ragionamento che riecheggia nelle parole di Alessandro Beulcke, presidente dell’Agenzia Ricerche, Informazione e Società che studia il fenomeno Nimby: “Fenomeno frequente nell’info-sfera della Rete in cui la capacità comunicativa prevale sul rigore scientifico. Ma che trae origine dalla volontà di un territorio di conoscere e discutere apertamente l’esigenza di un’opera pubblica”.

Ecco perché a suo giudizio bisogna sostituire il percorso privilegiato fino a oggi e fondato sul trinomio “Decidi, annuncia, difendi” con un processo di divulgazione culturale costruita attraverso il confronto trasparente e il ricorso a fonti autorevoli.

Un metodo di collaborazione che Beulcke spera possa promuovere una “competizione virtuosa” fra territori per accogliere la costruzione del deposito di scorie radioattive.



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