“Rinnoveremo il diritto del lavoro”; “Jobs act rivoluzione copernicana”; “Nessuno sarà lasciato solo, più tutele per chi perde posto”; “Parole come mutuo, ferie, diritti e buonuscita entrano nel vocabolario di una generazione che ne era stata è esclusa”.
Sotto il profilo della comunicazione, il premier Renzi merita un bel 10 in pagella. Non appena però dagli slogan si passa alla correzione dei compiti il voto si abbassa parecchio.
Rimango nel mio campo, il diritto del lavoro. Scorrendo in sequenza gli annunci roboanti, la legge delega e i decreti attuativi (due già approvati e due in arrivo) mi colpiscono due aspetti, che non balzano subito agli occhi e sui quali non si è fatta una gran pubblicità, ma che sono assai rilevanti.
Il primo è che nella legge delega i rinvii ad altri provvedimenti sono innumerevoli e altri ancora se ne ritrovano all’interno dei primi decreti. Per dirla altrimenti: perchè molte delle misure previste possano diventare effettive occorrerà una fervente attività, fatta di norme delegate, decreti ministeriali, circolari.
E’ il caso ad esempio del contratto di ricollocazione, ideato per assicurare un percorso rapido ed efficace per trovarne un posto di lavoro a chi lo ha perso. E’ evidente che tale strumento, nella prospettiva della flexsecurity e in funzione di bilanciamento, avrebbe dovuto essere operativo contestualmente all’entrata in vigore delle norme che riducono le tutele per i licenziamenti. La possibilità per i potenziali interessati di fruirne è invece subordinata all’emanazione di un altro decreto legislativo, quello in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive, che ancora non si intravede. Quest’ultimo a sua volta richiederà probabilmente ulteriori norme ministeriali e istruzioni applicative. Ciò significa, come la storia recente insegna, che potrebbe passare anche parecchio tempo. O che addirittura si potrebbe arrivare ad una nuova riforma prima che quella in corso abbia avuto piena attuazione.
Il secondo aspetto è rappresentato dal giochetto del “con una mano si dà e con l’altra si toglie”, già denunciato con riferimento ad altri settori, e che si conferma anche nel mercato del lavoro.
Anche qua due esempi, direttamente dalla legge di stabilità 2015 (l. n. 190/2014):
a) nel momento stesso in cui prevede l’esonero contributivo per i nuovi contratti a tempo indeterminato, per le assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015, Renzi cancella gli sgravi contributivi (che non avevano scadenza) previsti dalla legge n. 407/1990 per chi assumeva disoccupati o cassintegrati di lunga durata. Questo significa che dal 1° gennaio 2016 le imprese, soprattutto del sud e quelle artigiane, si troveranno private di un sostegno importante;
b) mentre introduce la deducibilità del costo del lavoro dei nuovi assunti dalla base imponibile IRAP, Renzi contemporaneamente abroga le norme con cui nel 2014 aveva disposto la riduzione generalizzata dell’aliquota IRAP dal 3,9 al 3,5%. L’effetto è dunque quello di un innalzamento generalizzato dell’imposta, per di più retroattivo, dal momento che della riduzione prevista lo scorso anno i contribuenti avrebbero potuto godere adesso. In altri termini, il risparmio di IRAP viene ridotto, reso eventuale, cancellato per il 2015 e spostato al 2016. Le imprese hanno fatto proprio un bell’affare!