Il prefetto Santi Giuffrè è Commissario per il coordinamento delle iniziative di prevenzione e contrasto del racket e dell’usura. Presiede il Comitato di solidarietà per le vittime di tali fenomeni criminali, creato presso il Ministero dell’Interno con il compito di esaminare e decidere sulle richieste di accesso al Fondo speciale di supporto e risarcimento economico.
Il 13 marzo a Genova ha reso nota una novità meritevole di attenzione: “Le cifre riguardanti le istanze presentate in materia di usura e estorsione sono alterate dalle denunce avanzate per gli stessi reati contro banche ed Equitalia”, ha detto. Formiche.net ha voluto approfondire il tema con l’alto rappresentante delle forze dell’ordine.
Qual è l’entità del fenomeno messo in luce pochi giorni fa?
È necessario distinguere tra le denunce di reati di usura ed estorsione fatte presso le forze dell’ordine e le procure della Repubblica e le richieste di indennizzo. Noi affrontiamo queste ultime. E dalla nostra angolatura registriamo un aumento delle iniziative contro istituti creditizi ed Equitalia.
A cosa è dovuta questa crescita?
Sarà per la disperazione provocata dalla crisi economico-sociali, o per la spinta strumentalizzante di figure e organizzazioni desiderose di vedere cambiamenti legislativi. È un fatto che molte persone vi facciano ricorso pur sapendo che non otterranno grandi risultati in sede giudiziaria.
Non vi è stato nessun processo per racket e crediti a tassi usurari a carico di banche o Equitalia?
No. Perché manca l’elemento soggettivo del reato, cioè il dolo e la volontà di compiere un’azione criminosa. Lo prova il fatto che il 90 per cento delle indagini viene risolto nella fase istruttoria, nonostante vi sia qualche richiesta di rinvio a giudizio. Per tale ragione ritengo che si tratti di un fenomeno da tenere separato rispetto alle denunce vere e proprie per usura ed estorsione. Certo è che fino a pochi anni fa nessuno avrebbe tirato in ballo le responsabilità di Equitalia.
La crescita delle iniziative giudiziarie contro l’organo dell’Agenzia delle Entrate e le istituzioni creditizie non trova dunque seguito in condanne processuali.
Esattamente. Solo in due occasioni risalenti nel tempo la magistratura amministrativa ha accolto ricorsi nei confronti di banche. È accaduto ad Ancona e Reggio Calabria. In tali casi abbiamo erogato un rimborso. Adesso rileviamo invece una coincidenza tra le denunce e le richieste di indennizzo.
È facilmente immaginabile la perdita di tempo e risorse per le forze di polizia e la giustizia.
Sì. Avviare una pratica destinata a essere respinta è una fatica non utile. Ma vi è un contesto storico meritevole di attenzione a prescindere dalle risultanze giudiziarie. Pur essendo nati attorno alla vicenda di Libero Grassi e alle iniziative contro il racket, forniamo spunti di riflessione e strategia a favore di famiglie, piccole e medie imprese, commercianti e artigiani vittime di usura. Spero che il mondo istituzionale se ne occupi seriamente. È però fondamentale superare un ostacolo di ordine culturale.
Quale?
L’ostilità radicata verso le persone che finiscono preda delle attività usurarie. Molto spesso esse sono viste come imprenditori e capi-famiglia poco capaci. Tuttavia so che il vice-ministro dell’Interno Filippo Bubbico ha mostrato grande sensibilità verso un problema che non può essere archiviato.
La priorità è concentrare tutti gli sforzi sul contrasto ai “cravattari” o affrontare con rigore il fenomeno dell’usura?
L’attenzione rivolta agli uni non esclude né riduce l’impegno sull’altro fronte. Le attività di prestito con interessi esorbitanti hanno abbandonato progressivamente il mondo dei “cravattari” vecchio stile. Ma anche il ricorso al racket ha mutato fisionomia.
Per quale ragione?
Un tempo la criminalità mafiosa imponeva e riscuoteva il pizzo per affermare la propria egemonia sul territorio. Oggi è interessata a rilevare l’azienda.
Come si combatte il fenomeno?
Una strategia efficace che il Viminale può mettere in campo è rivolgere l’attenzione al mondo dei “pre-usurati”, le persone che rischiano di cadere in quelle maglie. Coinvolgendo istituzioni come la Banca d’Italia e attivando strumenti quali l’Agenzia per l’attrazione degli investimenti per aiutare chi è in uno stato di difficoltà temporanea. Per salvare le imprese e le famiglie.