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Che cosa deve insegnare il voto francese al centrodestra italiano

Le cose non solo politiche in Italia proprio non vanno. Sebbene, infatti, l’economia accenni una ripresa e imperi il renzismo come nuova fase della socialdemocrazia, i problemi sono gravi al punto da rendere la nostra realtà nazionale avviluppata nei problemi di sempre.

I confini sono forati da flussi migratori, il tessuto sociale è rarefatto, e all’interno non si vedono riforme consistenti che snelliscano la burocrazia e controllino il territorio rendendolo più sicuro. In effetti il terrorismo più che una minaccia rappresenta la prova della verità.

Si può fare qualcosa di concreto?

Qualche insegnamento può venirci dai nostri cugini francesi. Le amministrative lì hanno evidenziato una destra forte, ideologica, ormai saldata nella convergenza di Marine Le Pen e Nicolas Sarkozy. I socialisti invece sono in crisi nera.

Ciò che ci segnala insomma lo scenario transalpino è che laddove la destra c’è, la destra vince. Il problema è che in Italia la destra non c’è, e quindi non può neanche partecipare.

Una novità si chiama Matteo Salvini, ma rappresenta una risorsa, tutto sommato, ancora parziale e non chiarita nei suoi presupposti di fondo. Basta guardare la sua comunicazione per capire che quello che dice è giusto e condivisibile, ma non sufficiente. L’immigrazione, ad esempio, è giustamente al centro delle sue battaglie, ma una rondine non può fare primavera, e non basta avere un buon cavallo per vincere la corsa.

La destra in Italia non c’è, dunque, ma potrebbe esserci a due condizioni. Che si superi il pregiudizio anti culturale e anti ideologico che ne fa una congerie senza prospettiva ideale. Senza pensiero, difatti, non c’è mai nulla che rimane. E che si abbia la forza di fare alcune proposte di sistema, non fermandosi soltanto alla sopravvivenza di questo o di quel partitino. Se ciò avvenisse, ecco che i giochi cambierebbero rapidamente.

In primo luogo, davanti al fallimento di una certa Europa e davanti alle incertezze economiche della mondializzazione relativista, adesso si deve proporre un’idea forte e chiara di Stato. La nostra costituzione definisce l’impianto istituzionale come sistema normativo e come organismo sociale. Lo Stato però che serve veramente non è questo. Va ricercato e ritrovato nel bene comune. Lo Stato non è tutto: non può essere una mega entità transnazionale costosa e distante, ma deve incarnare l’insieme dei cittadini italiani. Se non si è in grado di rifondare lo Stato come identità particolare, non si riesce neanche a costruire un nuovo centrodestra che difenda le prerogative che Salvini accenna e nessuno tutela in modo complessivo. Per accogliere gli altri ci vogliono le spalle grosse. Il multiculturalismo è una follia. Possiamo stare insieme agli altri se si sa per primo chi siamo noi.

Lo Stato non è la società. Lo Stato non è l’avvocato del genere umano. Non è una struttura solo di governo, ma è un soggetto politico specifico nel quale devono vivere cittadini che abbiano pari diritti e pari doveri. Nessun Paese può occuparsi di tutto: che la politica si curi perlomeno di garantire il potenziale reale e specifico che esiste nel territorio. Non può concepirsi una politica globale nella globalizzazione. È necessario delimitare il campo d’interessi e guardare limpidamente al “munus” che definisce quel gruppo di esseri umani che devono essere rappresentati e tutelati dalle nostre istituzioni nazionali.

In Italia si deve ripartire insomma dallo Stato. Ma per farlo deve emergere l’idea di Stato che s’intende incarnare. Rispetto alla sinistra europea lo spartiacque qui rimane ancora forte. Laddove la sinistra crede negli spazi aperti, nella distruzione delle comunità, la destra deve proporre una visione poliedrica e ordinata a spazi chiusi. E in Italia nessuna alternativa a Renzi è pensabile se non si sa dare consistenza ad una concezione politica particolare, costruita sulla materiale esistenza del popolo italiano.

D’altronde, quando un progetto come quello del centrodestra non funziona è assurdo non riflettere sulla causa. E la crisi è culturale. Se il conservatorismo tornerà a pensare, sarà possibile anche dare risposte che non siano unicamente la sopravvivenza di questo o quello, ma un impianto etico eretto sul nostro modo di essere e di concepire la vita. La possibile alternativa alla sinistra, in definitiva, si nasconde nella coscienza etica e non negli interessi economici.

E parlarne schiettamente, in ogni caso, di certo non danneggia nessuno.


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