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Ecco i possibili effetti collaterali (positivi) dell’attivismo di Landini sul sindacato

Si è parlato molto della dimensione politica dell’iniziativa di Landini ma gli effetti collaterali sul sindacato potrebbero essere assai rilevanti e, per qualche verso, sorprendenti. Innanzitutto è sbagliato dare per scontato che il segretario della Fiom si accinga a lasciare il sindacato. Lui lo ha sempre negato e d’altra parte fintanto che non assumerà un incarico di partito o istituzionale non sarà incompatibile col ruolo di segretario del sindacato. Per di più la sua forza politica è legata in primo luogo al fatto di agire come leader di un grande sindacato, senza cui non avrebbe assunto la leadership della “coalizione sociale”.

Perché non dovrebbe ambire a guidare la Cgil? Se ci riuscisse il suo progetto politico sarebbe ancor più solido. La Cgil è oggi una realtà nella quale convivono tre anime, quella antagonista, quella genericamente conflittuale e quella riformista. Le prime due costituiscono l’asse di governo della Confederazione che fu Di Vittorio e di Lama. Con la differenza non marginale che la cinghia di trasmissione tra partito e sindacato ai tempi del PCI si era rovesciata nei rapporti col PD. L’arrivo di Renzi, nella doppia veste di segretario del partito e di primo ministro, ha bruscamente interrotto il potere di condizionamento della CGIL. Sul terreno politico e organizzativo la Fiom non sopravviverebbe per molte ragioni ad una rottura dei rapporti con la Cgil, ma potrebbe cercare di egemonizzarne la linea politica.

La presenza in Piazza a Roma di Susanna Camusso, sia pur defilata, parrebbe accreditarlo. Se si continua su questa strada diverranno sempre più difficili i rapporti tra le organizzazioni sindacali. E’ qui che potrebbero prodursi imprevisti ma positivi effetti collaterali. Come si governeranno i rapporti unitari visto che il sindacato (anche la Fiom) se vuol vivere, dovrà ottenere risultati contrattuali? Poichè nessun sindacato che si rispetti accetterebbe di farsi accreditare solo dagli imprenditori o dai governi c’è una sola strada, democratica ed unitaria, ed è quella di chiamare a decidere a maggioranza e ad ogni livello i lavoratori e i loro rappresentanti democraticamente eletti.

Gli accordi approvati dalla maggioranza avrebbero in tal modo efficacia generale secondo la norma (inapplicata) dell’articolo 39 della Costituzione che riconosce le parti sociali come fonte di produzione giuridica. Il sindacato nel suo insieme si è già avviato su questa strada ma occorre maggior determinazione per rivitalizzare non solo l’articolo 39 ma anche il 40 e il 46 della Carta dandone finalmente attuazione. Così il momento di maggior divisione tra sindacati potrebbe diventare fattore di accelerazione di una nuova unità fondata sul pluralismo, sulla certezza e trasparenza delle regole, sulla legittimazione dei sindacati determinata dal grado di consenso che ciascuna organizzazione ottiene liberamente tra i lavoratori.

L’unità organica inseguita dall’autunno caldo in poi si è rivelata impossibile. Rimane l’unità delle regole e la responsabilità di compiere scelte politiche e contrattuali adeguate a difendere gli interessi del mondo del lavoro.



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