La cosiddetta “operazione Farfalla” che ha visto collaborare tra il 2003 e il 2004 agenti penitenziari e 007 per acquisire informazioni da alcuni detenuti in regime di 41bis, tagliando fuori livello politico (i ministri vigilanti) e magistratura, s’è rivelata “fallimentare”. Mentre “il coinvolgimento di uomini del Dap, del Sisde e della magistratura” ha solo prodotto il risultato che questi “sono stati distolti da attività più utili e produttive per l’Italia e per i cittadini”.
LE CONCLUSIONI DEL COPASIR
Sono alcune delle conclusioni alle quali è giunto il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica presieduto da Giacomo Stucchi (Lega Nord), che ieri ha diffuso i contenuti di una relazione redatta dal vicepresidente dell’organismo, il senatore Giuseppe Esposito (Ncd, nella foto) e consegnata ai presidenti di Camera e Senato. Una dettagliata relazione di una trentina di cartelle che riporta, tra l’altro, anche alcuni passaggi di audizione che si è deciso di “desecretare” per la prima volta. Il testo ha preso in esame tre operazioni che hanno visto coinvolta l’intelligence italiana e il Dap – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – nel tentativo di raccogliere informazioni da detenuti o collaboratori in diversi periodi temporali, in un contesto storico e legislativo molto differente. Protagonisti dell’attività gli allora direttori di Sisde e Dap, Mario Mori e Giovanni Tinebra, ed il responsabile dell’Uffici ispettivo del Dap, Salvatore Leopardi.
OPERAZIONE FARFALLA
Per quanto riguarda l’operazione Farfalla, la relazione di Esposito ricorda che “nel corso del 2004 si programmò e iniziò l’operazione con l’obiettivo di raccogliere informazioni, tramite il Dap, da detenuti che, sentendosi abbandonati dalle proprie famiglie o dalle organizzazioni criminali di appartenenza, avrebbero potuto manifestare la disponibilità a fornire informazioni di natura fiduciaria subordinata a dei vantaggi anche di natura economica per sé stessi o per i loro parenti”. Una operazione che, però, è risultato aver “sconfinato la cornice normativa allora vigente” e che ha fatto emergere, si legge nel documento del Copasir, “un quadro complessivo caratterizzato da una gestione superficiale e da carenze organizzative aggravato da un’assenza di tracciabilità documentale che, oltre a non aver condotto a risultati di qualche utilità, ha reso possibili letture dietrologiche della vicenda, con riferimento a inesistenti “protocolli” piuttosto che a specifiche operazioni. Peraltro si sottolinea che gli organi giudiziari non hanno riscontrato elementi per promuovere azione penale”.
RIENTRO
Non differente il giudizio per quanto riguarda “l’operazione Rientro“, avviata nel dicembre 2005 e conclusa nel luglio 2006. Nata dalla proposta di un detenuto del carcere di Sulmona, Antonio Cutolo, al direttore dello stesso istituto penitenziario, era volta a fornire elementi utili alla cattura di Edoardo Contini, all’epoca latitante di camorra e figura importante nella gerarchia criminale campana. Riscontri e informazioni poi rivelatesi non attendibili e che portò lo stesso Cutolo alla denuncia da parte del Dap, a Carabinieri e Polizia. Anche in questo caso ad essere messa in discussione è stata la modalità seguita e “rivelatasi anch’essa un insuccesso”, ha poi concluso il Copasir nella sua relazione.
SISDE INGOVERNATO?
La relazione rivolge critiche anche nei confronti del servizio di sicurezza del tempo, il Sisde, considerato “di fatto ingovernato”. Prova ne è, spiega Esposito, “che per 14 mesi ha condotto l’operazione che avrebbe dovuto coinvolgere gli otto uomini più potenti della mafia che fu un fallimento di cui oggi restano agli atti solo 13 appunti”.
FLAMIA
Diversa la valutazione per l’ultimo caso analizzato, quello relativo alla cosiddeta vicenda Flamia, dal nome dell’informatore (Rosario Flamia) scelto per “attenzionare” da parte dei nostri Servizi di sicurezza il mandamento di Bagheria nel 2008. Personaggio legato ad esponenti di spicco del mandamento e all’epoca non sottoposto a detenzione. In questo caso, grazie anche alle mutate normative che hanno portato ad una “disciplina più rigorosa e definita”, “la collaborazione della fonte fiduciaria – scrive la relazione del Copasir – ha contribuito alla realizzazione di importanti risultati investigativi nella lotta alla criminalità organizzata. Le risultanze dell’indagine consentono di affermare che, anche in questo caso, il personale dei Servizi abbia agito nel rispetto della normativa di riferimento”.