L’accordo politico preliminare è stato faticosamente raggiunto, ma sono ancora molti i nodi che Washington e Teheran dovranno sciogliere prima della conclusione formale – entro il 30 giugno – della trattativa sul nucleare iraniano.
Dopo l’intesa di Losanna, entrambi i governi hanno evidenziato come la volontà di risolvere i problemi ancora sul tavolo ci sia tutta, ma hanno anche manifestato apertamente la loro reticenza ad arretrare su alcuni principi non negoziabili.
L’ACCORDO VISTO DA OBAMA
La posizione più delicata è quella della Casa Bianca. Barack Obama ha investito politicamente molto in questo negoziato, come ha ricordato su Formiche.net l’analista americano Andrew Spannaus, e ora vuole “battere cassa”, nonostante le critiche di un partner strategico come Israele, i timori dei Paesi del Golfo – Arabia Saudita su tutti – e persino l’opposizione del Congresso a guida repubblicana.
Ieri, in una lunga intervista concessa a uno degli editorialisti del New York Times, Thomas Friedman (sotto il video), il capo di Stato Usa ha spiegato la sua “dottrina”, provando al contempo a rassicurare gli alleati in Medio Oriente. “Penso”, ha spiegato Obama, “che il combinato disposto di un percorso diplomatico che metta da parte il dossier nucleare (l’accordo di Losanna, ndr) insieme all’avvertimento agli iraniani che debbono cambiare il loro comportamento, perché – ribadisce – noi proteggeremo i nostri alleati se continuerete ad impegnarvi in attività aggressive e destabilizzanti… insomma queste due elementi potenzialmente possono non solo come minimo rassicurare i nostri amici ma iniziare ad abbassare la temperatura” nella regione”. Per la Casa Bianca “non c’è alcuna formula, alcuna opzione per impedire che l’Iran ottenga un arma nucleare più efficace dell’iniziativa diplomatica e dell’accordo quadro che abbiamo definito”. “Chiunque attacchi Israele”, ha incalzato, deve essere consapevole che “noi saremo al suo fianco”, aggiungendo che “l’intesa invia un chiaro messaggio non solo agli iraniani ma all’intera regione: se qualcuno farà” del male “a Israele, avrà a che fare con l’America”. Tuttavia, nonostante l’accordo, permangono alcune divergenze di interpretazione tra Iran e Stati Uniti. Su quest’ultime preme anche il premier israeliano, Benjamin Netanyahu (qui il commento di Umberto Minopoli), che guarda con attenzione alle prossime mosse di Washington. Non si tratta di elementi trascurabili, perché, come scrive il corrispondente della Stampa da Gerusalemme, Maurizio Molinari, investono i pilastri della “Dichiarazione comune”, “lasciando trasparire come la volontà politica di raggiungere un’intesa resti venata da disaccordi di sostanza destinati a mettere a dura prova i negoziatori” e che “possono complicare il completamento dell’accordo entro la data prevista“. Quali?
LE PERPLESSITÀ’ DI WASHINGTON
Il primo nodo è quello sulla destinazione fuori dai confini iraniani del materiale fissile. “Per i diplomatici americani – scrive Molinari – le scorte di materiale fissile iraniano saranno ridotte dalle attuali 10 tonnellate a 300 chilogrammi perché «saranno trasferite all’estero» e in particolare Russia (una soluzione ventilata da Mosca stessa) ma il viceministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, smentisce: «L’esportazione delle scorte di uranio arricchito non è nei nostri programmi, non intendiamo mandarle all’estero»“.
In secondo luogo, “per il Dipartimento di Stato «l’Iran ha accettato di non arricchire uranio sopra la soglia del 3,67 per cento per un periodo di almeno 15 anni» ma il ministro degli Esteri Zarif, citato dalla tv libanese degli Hezbollah Al Manar, afferma che «sulla base della dichiarazione di Losanna i limiti all’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran saranno in vigore solo per 10 anni sebbene durante i negoziati si sia parlato di un periodo più lungo». Ovvero, l’opzione dei 15 anni è niente altro che un’ipotesi“.
Vi è poi un altro aspetto rilevante, che riguarda le possibili caratteristiche militari del programma militare di Teheran. “Alti funzionari della Casa Bianca – rimarca Molinari – hanno” spiegato “che le verifiche sull’accordo finale si baseranno su un nuovo protocollo dell’Aiea che consentirà accessi a tutti i siti iraniani – l’«intera catena dalle miniere ad ogni impianto» (anche con ispezioni a sorpresa, ndr) – ma Teheran, nella sua dichiarazione alla stampa fatta in Svizzera, ha negato che firmerà il nuovo protocollo dell’Aiea” e che semmai “sarà rispettato «su basi volontarie e temporanee»… e dunque non ci saranno obblighi“.
Infine, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha lasciato intendere che l’impianto sotterraneo di Fordow, “sviluppato in segreto dall’Iran fino alla scoperta nel 2009 da parte dell’Aiea, cesserà ogni funzione. Ma il presidente iraniano, Hassan Rohani, afferma che «a Fordow saranno installate mille centrifughe, l’impianto resterà aperto per sempre, non chiude»“.
L’OPINIONE DI TEHERAN
Anche Teheran è però decisa a chiarire un punto, relativo alle restrizioni economiche che pesano come un macigno sull’economia iraniana. “Il testo dei «Parametri dei Piano d’Azione» pubblicato dal Dipartimento di Stato afferma che «le sanzioni saranno sospese dopo che l’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) avrà verificato il rispetto di tutti i punti-chiave da parte dell’Iran» prevedendo dunque un’abolizione graduale mentre Jawad Zarif, ministro degli Esteri iraniano, in un’intervista tv ripresa dalla «Fars», afferma che «tutte le sanzioni saranno tolte il giorno dell’accordo» dunque immediatamente“. Sempre riguardo le sanzioni si registra un’altra divergenza. “Il documento del Dipartimento di Stato afferma che «l’architettura delle sanzioni Usa resterà per la durata dell’accordo e tornerà in vigore in caso di violazioni di rilievo», ma Zarif sul quotidiano iraniano «Teheran Times» ribatte: «Dopo la firma le sanzioni non potranno essere reintrodotte»“.