Benjamin Netanyahu ha ragione. La novità dell’ipotesi di accordo di Losanna è evidente. Sinora le intese di non proliferazione atomica partivano da due principi: il club dei Paesi possessori di armi atomiche andava “congelato” e non poteva esservi nessun newcomer oltre i nove che oggi posseggono la bomba; e per quest’ultimi la dichiarazione esplicita che mai faranno ricorso “per primi” all’arma nucleare.
L’accordo di Losanna, limitando il completamento dell’atomica iraniana solo attraverso “finestre temporali”, sancisce, al contrario, che l’Iran è ammesso come newcomer. L’altra novità è che l’Iran pretende il riconoscimento del suo “diritto al nucleare” non in base a motivazioni di difesa da una minaccia atomica esterna ma come riconoscimento della sua ambizione di “potenza regionale”. Dunque, in una logica dichiarata di aggressività esterna. Queste novità dell’accordo nucleare di Losanna danno un peso oggettivo al problema posto da Netanyahu: il riconoscimento dell’inviolabilità di Israele come condizione dell’accordo.
È comprensibile che, dopo il vantaggio conferito all’Iran dalla trattativa (le condizioni iniziali chiave, su numero e potenza delle centrifughe, impianti inattaccabili e uso dell’uranio iraniano già arricchito, sono state lasciate cadere dagli Usa) Obama sia imbarazzato sulla richiesta israeliana di porre ora la condizione del “riconoscimento dello Stato di Israele da parte dell’Iran”.
È chiaro che oggi è tardi per ottenerlo in due mesi (prima della firma di giugno). Ma non è tardi per ottenere dall’Iran almeno la condizione chiave che fa parte di tutti i patti di “non proliferazione”: la solenne dichiarazione che l’Iran aderisce al principio che l’atomica non si usa per primi e che la Regione di cui l’Iran fa parte è costituita da Stati inviolabili e che l’Iran non minaccia nella loro inviolabilità. Sarebbe una molto parziale toppa ai buchi dell’accordo e una piccola rassicurazione per Israele. Ma anche per gli Stati sunniti di Egitto, Giordania e Arabia Saudita.