Dopo 14 anni dai fatti di Genova durante il G8, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa sull’operato delle forze dell’ordine nella scuola Diaz e ha parlato di “torture”, criticando anche le lacune della legislazione italiana, a suo parere inadeguata a punire il reato.
Quale il significato politico della sentenza? Quali i rilevi giuridici? E cosa aspettarsi dal disegno di legge al vaglio del Parlamento?
Ecco alcuni degli aspetti analizzati da Formiche.net in una conversazione con Franco Frattini, consigliere di Stato, già ministro degli Esteri nel secondo governo Berlusconi, vicepresidente della Commissione di Bruxelles e Commissario europeo per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza dal 2014 al 2008, oggi presidente della Sioi.
Presidente Frattini, che giudizio dà della sentenza della Corte europea dei diritti umani sui fatti di Genova?
Forse più grave della sentenza di condanna sul fatto specifico, è la circostanza che in Italia il primo disegno di legge per introdurre il delitto di tortura sia stato presentato ben 26 anni fa. Quel che voglio dire è che questa condanna non giunge come un fulmine a ciel sereno. Sono troppi anni che il Parlamento italiano non è in grado di trovare un accordo su un provvedimento decoroso.
L’ultimo provvedimento, il disegno di legge del 2013 approvato da un ramo del Parlamento, è fermo da oltre un anno e dovrà tornare indietro al Senato perché è stato modificato. Con tutto il rispetto che si deve alle sentenze della Corte, io avrei preferito un giudizio con capi d’imputazione italiani davanti a giudici italiani. È assurdo che si debba andare a cercare un giudice a Strasburgo perché in Italia non esiste nemmeno un codice di reato.
Come valuta invece il profilo giuridico della sentenza?
Partiamo da un presupposto: la Corte è composta da giudici di altri Paesi, che giudicano con criteri che risentono della loro provenienza. Sono portatori di culture e mentalità giuridiche molto diverse dalla nostra. Non vorrei entrare in tecnicismi, ma se, come detto, il nostro codice penale include già pene per azioni violente; e se noi diamo alla tortura l’accezione di un atto mirato a causare sin dal principio il massimo dolore possibile senza togliere la vita alla persona offesa, questo genera in me una domanda. L’irruzione nella caserma Diaz, per quanto esecrabile e da condannare, può essere considerata tortura? Sicuramente è un comportamento penalmente punibile, una violenza con molte aggravanti, ma non credo si possa giudicare come un atto preordinato. Credo che in questo caso la Cedu, trovandosi a maneggiare un ordinamento come quello italiano, abbia immaginato un concetto universale di tortura. Ma una condanna dei fatti c’era già stata in Italia quando la Cassazione aveva decapitato i vertici della Polizia, marcando così la gravità del reato.
In altri Paesi europei, come la Germania, non esiste una norma specifica del codice penale per la tortura. Ci sono tuttavia norme assimilabili alla fattispecie, che è poi quello che chiedono anche le forze dell’ordine italiane.
So bene che ci sono voci contrastanti in merito alla necessità o meno di introdurre questa fattispecie. Sono stati tanti e tanto diversi, finora, gli impedimenti perché si redigesse una norma equilibrata. Non basta riempire un vuoto normativo per fare un buon lavoro. Introdurre un delitto come quello di tortura richiede l’individuazione di comportamenti che lo configurino come tale in modo specifico e non si sovrappongano ad altre norme esistenti o si corre il rischio di fare confusione.
Il sindacato di Polizia rifiuta la lettura dei fatti data dalla sentenza.
Credo che tutte le sentenze si debbano rispettare, incluse quelle che non ci piacciono. Ma non va fatto credere che la polizia italiana faccia “macelleria messicana”, come si legge da qualche parte. Guai se si prende spunto da questa condanna per avviare una delegittimazione ad uso politico delle nostre forze dell’ordine, che tra i loro successi hanno anche quello di aver salvato migliaia di vite umane in mare, per fare un esempio recente.
Rispondendo al no global Luca Casarini, che ha accusato il governo di silenzio rispetto a questa vicenda, il premier Matteo Renzi ha detto: “Quello che dobbiamo dire lo dobbiamo dire in Parlamento con il reato di tortura. Questa è la risposta di chi rappresenta un Paese”.
Questa sentenza potrebbe forse essere l’occasione per riflettere e fare chiarezza anche su questo disegno di legge. Rispetto al reato di violenza aggravata introduce qualcosa in più, ovvero il concetto di infierire in modo premeditato sulla vittima. Da questo punto di vista può essere utile, certo, perché colma una lacuna. Eppure io credo che in questo senso il Parlamento debba dire una parola definitiva. Son passati troppi anni e bisogna uscire da quest’ambiguità. Come dimostra la normativa tedesca, non è un passo obbligatorio. O le Camere lo approvano o abbiano politicamente il coraggio di dire: non serve.